09 dicembre 2010

architettura_interviste Africa costruttiva

 
Classe 1965, Diébédo Francis Kéré è nato nel villaggio di Gando, in Burkina Faso. Grazie a una borsa del governo tedesco si trasferisce a Berlino e si laurea in architettura. Il suo primo lavoro è la scuola elementare di Gando, che progettò quando era ancora studente e che gli valse nel 2004 un Aga Khan Award for Architecture e il BSI Award for Architecture, conferitigli lo scorso 17 novembre. Oggi Kéré è un architetto di fama internazionale. Lo abbiamo incontrato all’Accademia di Architettura di Mendrisio, in occasione della consegna del premio...

di

Meschac Gaba ci
ha raccontato che, in Africa, dietro a ogni lavoro si cela una narrazione. Mi
sembra sia così anche per i tuoi progetti, soprattutto quelli che hai
realizzato in Burkina Faso…

Quando stavamo costruendo la scuola di Gando, dopo
giorni e giorni di lavoro avevamo finalmente terminato i muri, alti 2 metri.
Quella notte cadde una pioggia insistente. La mattina successiva ero nel
cortile della mia casa e vidi arrivare le donne del villaggio: erano tante,
c’erano anche degli uomini e dei bambini. Volevano consolarmi, pensavano che
fossi triste: in Bukina Faso la pioggia è devastante e distrugge gli edifici
che non sono stati terminati. Quelle persone non avevano nemmeno pensato di passare
dalla scuola, perché per esperienza sapevano che la pioggia l’avrebbe
danneggiata. Subito dopo giunse altra gente, erano molto concitati, erano
andati alla scuola e aveva visto che non era crollata. La gioia e lo stupore
emergeva dai loro sguardi, dalle loro espressioni. È qualcosa che non
dimenticherò mai.

E poi?

Quando abbiamo finito di costruire la scuola, la
gente era molto contenta e tutti dicevano che era una costruzione bellissima. Un
anziano del villaggio mi manda a chiamare, era infermo. Andai a casa sua e mi
spiegò che mi aveva convocato perché dal suo cortile la vista della scuola era
eccezionale e la prospettiva perfetta. Era vero, ma lui la scuola non l’aveva
mai vista, nemmeno dal suo cortile, perché l’anziano era cieco. Attraverso le
voci del villaggio si era fatto un’idea della scuola e la immaginava
bellissima. Era il suo modo di dirmi che apprezzava quello che avevamo fatto. Lavorare
in Africa è molto impegnativo, ci sono sempre tantissime cose da fare, da sistemare,
ma anche l’energia è enorme e contagiosa, e quando torno in Europa mi sento
come se ogni volta fossi una persona nuova.

Diébédo Francis KéréQuando la gente
si è trovata davanti un edificio così diverso da quelli ai quali è abituata non
ha avuto un senso di estraneità verso il progetto?

Sono stati un po’ perplessi quando gli ho detto che
l’avremmo costruito in terra, temevano che sarebbe stato poco durevole. Anche
se si tratta di un edificio diverso da quelli ai quali sono abituati, la scuola
è stata costruita grazie alla loro partecipazione. È loro sotto ogni punto di
vista ed è subito diventata parte del villaggio.

Il Mali, come
molti Stati africani, quest’anno festeggia il cinquantenario della sua
indipendenza. Per l’occasione hanno riaperto il Parco Nazionale. Tu hai
collaborato alla realizzazione di alcuni progetti, giusto?

Ho progettato tutti gli edifici: il padiglione
d’ingresso, il ristorante, il centro sportivo.

Parlaci del
centro sportivo.

È concepito come un centro multifunzionale, un luogo
di ritrovo per la gente. Si terranno corsi di danza tradizionale africana, i
ragazzi potranno allenarsi nello sport, ma ci sarà anche uno spazio dedicato
agli anziani. Anche questa è un’opera molto amata dalla gente. Sua altezza l’Aga
Khan, quando l’ha inaugurata, era fiero del progetto.

Vuoi dire che è
stato finanziato dall’Aga Khan?

Sì. L’Aga Khan l’ha apprezzato poiché si tratta di
architettura contemporanea a tutti gli effetti, ma mantiene caratteristiche
tipicamente africane. Come dicevo, è stata un’opera importante, che ha dato un
impiego a circa 80 giovani.

A giugno
inizierai un nuovo lavoro a Ginevra, al Museo della Croce Rossa, e la tua opera
avrà come tema Ricostruire i legami
famigliari
: ce ne parli?

In Africa la gente è costretta a spostarsi molto. Le
madri e i padri devono separarsi dai figli, per tante ragioni. Spesso sono
costretti a imbarcarsi clandestinamente e ad andare altrove, poi se ne perdono
le tracce. Le famiglie vengono distrutte. È una piaga in Africa. Farò un lavoro
con la terra, un elemento naturale che appartiene a tutti. Sarà un progetto
scultoreo, non è ancora definito. Quello che trovo anche interessante è il
fatto di collaborare con due eccezionali architetti: Gringo Cardia, brasiliano,
si confronterà con il tema Difendere la
dignità umana
, e l’architetto giapponese Shigeru Ban farà una riflessione
sull’idea di Rifiutare la fatalità. Vuoi
sapere cosa ne penso? È un tema
che in qualche modo abbiamo già affrontato in un convegno a Forte Ventura ed è
emersa la necessità di creare un dibattito culturale attorno a temi quali le
migrazioni, la marginalizzazione, la nascita dei ghetti, perché quando la gente
approda, spesso clandestinamente, in un altro Paese, crea un disagio. Ormai non
si può più non occuparsene.

La scuola di Gando progettata da Francis Kéré

In un’altra
maniera questo argomento è stato posto anche da Paul Virilio, in particolare a
una mostra alla Fondation Cartier. Virilio presentò, insieme a Raymond
Depardon, una rassegna intitolata Terre
Natale
. Il filosofo e urbanista diceva che, nel 2008, 36 milioni di persone
avevano abbandonato il loro luogo di nascita per trasferirsi in un’altra città
o Paese. Il XXI secolo, continuava Virilio, sarà il secolo delle grandi
migrazioni: si prevede che un miliardo di persone nei prossimi cinquant’anni lascerà
la loro terra natale…

È un problema che in diverse maniere riguarda anche
l’architettura. Una delle domande possibili è: come saranno le città del
futuro? Un’altra è: come vivranno queste persone, saranno integrate o vivranno
nei ghetti? Sono domande che richiedono, come dicevo, una risposta chiara e in
tempi rapidi. Quello che abbiamo fatto a Gando è in qualche maniera una
risposta, seppure insufficiente. Molta gente che ha lavorato ai due progetti
della scuola ha imparato un mestiere e ora può trovare un lavoro in altri
cantieri e restare a Gando. Ma è solo un inizio, non basta.

Mario Botta,
membro della giuria del BSI Award
Architecture
, nel consegnarti il premio ha detto che “l’architettura povera ha battuto l’architettura ricca” e che “attraverso il tuo lavoro ha saputo ritrovare
il significato più profondo del fare
”: è un bel complimento… Cosa
caratterizza il tuo modo di lavorare?

Le mie sono opere fatte per la gente: guardo come
vive, osservo i loro gesti. Imparo da loro.

Francis Kéré e l'Africa

Il BSI Award
for Architecture è di 100mila franchi svizzeri. Cosa ne farai?

Voglio costruire a Gando un centro per le donne, sarà
uno spazio polivalente. Ovviamente non bastano.

Quanto ci
vorrà?

Almeno 800mila euro, ma oggi non è più così difficile
trovarli.

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La
consegna del Premio

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archistar: Kéré

a cura di riccarda
mandrini

[exibart]

 

 

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