13 gennaio 2011

design_laboratori La questione del restauro

 
Exibart si è addentrata tra le segrete della Triennale per scoprire un laboratorio che non “cura” le opere d'arte ma gli oggetti di design. Con l’aiuto della direttrice del Triennale Design Museum e dei suoi collaboratori, iniziamo a parlare di una disciplina neonata...

di

L’essenziale è invisibile agli
occhi.
Potrebbe essere questo il corretto sottotitolo da
affibbiare alla nuova deriva che ha imboccato l’arte del restauro, occupandosi
di design. E le ragioni sono molteplici.

In Italia, pur essendo
specialisti di restauro sia che si tratti di manufatti storici, sia di
architetture, sia di vere e proprie opere d’arte, non abbiamo quasi mai sentito
associare il restauro al design. Eppure, sempre più spesso, si scoprono
interazioni, assonanze e commistioni tra le due discipline, e si notano oggetti
che oscillano tra l’arte e il design. E ancor con maggiore frequenza il
prodotto industriale è riconosciuto con il nome del suo ideatore piuttosto che
con il proprio. Allora perché non restaurare un oggetto che ha fin troppe somiglianze
con un’opera d’arte, quindi meritevole della stessa tutela?

Questo deve essersi chiesta Silvana
Annichiarico
, direttrice del Triennale Design Museum, quando, ormai tre
anni or sono, ha ideato il primo museo di design. Infatti, parallelamente a quella
che ormai è un’istituzione milanese, è nato anche un essenziale laboratorio di
restauro a servizio del museo. Pensato fin dal principio unitamente al progetto
museale, spiega Silvana Annichiarico, è un vero e proprio centro di ricerca e
sperimentazione su come si debba restaurare il design contemporaneo: “Quando
ho iniziato a immaginare un museo che ospitasse oggetti non volevo che fosse
una semplice vetrina ma che avesse un’anima
”.

Quest’anima è riuscita a trovare
una sua collocazione proprio in un laboratorio che non si limita a curare il
degrado di un manufatto, ma si propone anche di prevenirlo, proprio come si fa
con il restauro delle opere d’arte. Ma se l’arte del restauro classica vanta
una storia secolare, quella del restauro dell’oggetto è neonata, incontra
quindi delle difficoltà tecniche e deontologiche.

I problemi tecnici sono spesso
legati alla presenza di una gamma numerosa e diversificata di materiali da
restaurare, molti dei quali innovativi e di cui non si conosce il degrado nel
tempo. È proprio da ciò che il laboratorio trae il suo punto di forza e diventa
anche centro di ricerca. Barbara Ferriani, restauratrice e responsabile
del progetto, spiega che il lavoro che si svolge in laboratorio avviene in
stretto contatto con i Paesi Nordici, i più all’avanguardia nel settore.

Nel laboratorio viene effettuata
una prima diagnosi delle condizioni di degrado dell’oggetto e successivamente,
dopo i vari consulti e scelte su come intervenire, viene contattata la figura
professionale più adatta per trattare quel particolare materiale. Cercando di
risolvere gli ostacoli tecnici si deve parallelamente considerare la questione
etica di “come” intervenire sull’oggetto da restaurare e che aspetto dare a un
oggetto restaurato. Come per le opere d’arte, ogni oggetto fa storia a sé,
spiega Ferriani, ma se un’opera è contestualizzata in un determinato periodo
storico, l’oggetto di design spesso è ancora attuale.

L’obiettivo del laboratorio del
Triennale design Museum è di fermare il processo di degrado del materiale, ma
di non occultare i segni del tempo che, per un oggetto, conferiscono un valore
aggiunto. “Vogliamo che il volto degli
oggetti ci parli
”, sottolinea Annichiarico nell’illustrare l’intervento su
una vecchia Vespa restaurata ma con le rughe ben in evidenza.

valia barriello


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper
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[exibart]

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