02 febbraio 2012

L’arte contemporanea non è solo spettacolo. Richard Armstrong, direttore del Guggenheim, oggi sulla “Stampa” e alla Fondazione Sandretto

 

di

Richard Armstrong
Richard Armstrong, il boss del Guggenheim, arriva oggi a Torino per tenere una conferenza alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che precede l’inaugurazione della mostra “Press Play”. In una lunga intervista  sulla “Stampa”, Francesco Bonami chiede al direttore del rapporto che intercorre tra arte e spettacolo: le due mostre più visitate del Guggenheim newyorkese sono state quelle di due illustri italiani. Cattelan nel 2011 e Giorgio Armani nel 2001. «La gente ama vedere la moda. È una questione a metà tra il voyerismo e l’aspetto estetico ed esteriore della realtà». Nel caso di Cattelan il pubblico – giovanissimo, tra i 16 e i 25 anni – era più interessato all’arte visiva, ma poi tira in ballo il motivo scatenante di tanta ira di critici e colleghi nei confronti dell’artista italiano: «Maurizio fa spettacolo, ma se da una parte non si vergogna di questo, da un’altra parte sembra chiedere perdono. Questa contraddizione è chiara e la gente l’apprezza molto». 
I prezzi gonfiati, l’arte come bene di consumo che assume un valore colossale è diventato un problema anche per il collezionismo museale che non può permettersi di sobbarcarsi cifre del genere, afferma Amstrong. Che poi, in versione un po’ mammoletta, aggiunge: «Pochi sanno che non è il Guggenheim ad andare a cercare posti dove espandersi. Sono gli altri a cercarci». Vero, anche se poi il museo americano sceglie prevalentemente in base alle garanzie finanziarie. L’esperienza di Bilbao dimostra che è «necessaria una leadership politica molto forte, la capacità di investimenti altissimi e una fede nel contemporaneo che non ammette dubbi», continua Amstrong senza nascondere il peso dei rapporti tra politica e imprenditoria. Costi che, come nel caso della città basca, superano il 165 milioni di dollari per 12 mila metri quadri di struttura. Eppure il Guggenheim di Bilbao è una grande macchina che annualmente macina oltre un milione di persone, esattamente come la sede di New York. E le nuove sedi? Helsinki, per un pubblico locale senza dimenticare i russi e l’aeroporto. Già, perché «è diventato uno snodo internazionale importantissimo, fermano qui moltissimi voli per l’Asia».
Ma cosa è davvero importante per un museo nel 2012? «Creare un programma forte senza cedere alla tentazione di essere modaioli e al tempo stesso evitando di essere noiosi. Costruire una collezione e un programma di mostre che vada a fondo geograficamente e storicamente, aldilà dal fatto di quanta gente poi va a vedere le mostre. Un museo deve ancora essere un luogo sacro che viene preso seriamente».
A onor di cronaca le mostre modaiole nella storia del Guggenheim sono state 3 (nel 1998 è stata la volta di “The art of motorcycle”).  E in Italia? «Venezia ha già la sua sede e basta così». Intanto si aspetta Abu Dhabi, apertura sempre più procrastinata: nel 2017. (m.b.)

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