08 novembre 2012

ILLUSTRATED SONGS L’abbandono d’amore sotto forma di Body Art

 
Con il videoclip di Somebody That I Used To Know, Gotye rivela i tre atti fondamentali della fine di un amore: toppe cromatiche invadono i corpi fino all'epilogo del decolorimento femminile, simbolo di una storia che non è più

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Nessun appassionato di musica immaginava che Sting e Peter Gabriel avrebbero potuto dare alla luce un figlio, almeno artisticamente. Eppure, in questi mesi, le classifiche di tutto il mondo hanno tenuto a battesimo Wouter Wally de Backer, noto come Gotye (adattamente della parola “gaultier”, traduzione francese del suo nome). Arrivato direttamente dall’Australia, il cantante, che già vantava premi importanti come l’ARIA Music Awards, ha avuto il suo riconoscimento internazionale grazie al singolo Somebody That I Used To Know, estratto dall’album Making Mirrors e cantato in duetto insieme all’artista neozelandese Kimbra. Una canzone indie-pop composta da un arrangiamento di piano, chitarra e xilofono, con qualche riferimento brasiliano grazie al sample del brano Seville del chitarrista jazz Luiz Bonfà.

Il videoclip del brano è stato diretto e prodotto da Natasha Pincus, una regista di Melbourne con già all’attivo una serie di corti e qualche videoclip. L’idea del video le è venuta partendo dalla canzone stessa: la Pincus è una di quelle registe che considera il videoclip come un processo di “adattamento visivo” del cuore della canzone rivelato attraverso un verso specifico o la tematica totale del brano. Il concept si sviluppa poi comunicando la musica, la progressione melodica, il tempo, le dinamiche e le emozioni che la canzone evoca. Nel caso di Gotye e Kimbra la scelta è ricaduta proprio sul titolo, Qualcuno che una volta conoscevo, metafora del tentativo di dimenticare un amore.

La malinconia della fine si trasforma graficamente in un dipinto, basato su un lavoro degli anni Ottanta creato dal padre di Gotye, Frank de Becker, che ha anche progettato la copertina dell’album Making Mirrors. È un dipinto fatto di forme geometriche e acquerelli, espressione di energie legate al mondo della vita. Una straordinaria sincronia e sistematicità interna, coerente eppure flessibile, che guarda ai lavori di Klee dal 1914 all’anno della morte. Il principio neoplastico che emerge è quello femminile, inteso nel motivo della continuità e della durata, ed esplicato, dal punto di vista stilistico, attraverso toppe cromatiche di varie misure che si distendono in superficie senza rivelare strati profondità. Rispetto a Mondrian, le sagome sono ritagliate più liberamente e la cromia è ricca, lontana dal purismo dei soli colori primari.

Al principio femminile si aggiunge poi quello maschile, inteso nell’evento traumatico dell’abbandono, con cui le toppe subiscono una vera e propria fecondazione spermatica, tanto che maturano, come i rami di una vegetazione, sui corpi dei due cantanti. Un raggiungimento pieno, ove il rapporto figura-sfondo non è conflittuale, anzi si incastrano l’uno dentro l’altro. Un’armonia determinata dalla tangibilità fisica e dalla spazialità reale, che vive in tracce materiali che consentono ai colori di estendersi. Il corpo vivente, inteso come fonte di poetiche affermazioni di esistenza, diventa Body Art, di cui nel videoclip si è occupata l’artista austrialiana Emma Hack.

Il soggetto maschile, la cui immobilità fissa frontalmente alla telecamera congela la situazione, rivela la continuità del dipinto nel senso di angoscia e smarrimento dell’amore finito; il soggetto femminile, di spalle, quel “qualcuno che una volta conoscevo”, si libera invece dalla geometrizzazione spaziale trasformandosi da oggetto ad azione. Che, per quanto reale, si carica di valori allegorici, impostando una specie di teatro che rivela i tre “atti” fondamentali della fine di un amore: l’allontanamento, determinato dalla distanza iniziale tra i due soggetti; il chiarimento, che è proprio l’azione; e l’addio. Quest’ultimo viene rappresentato non tanto dal ritorno del corpo femminile nella sua posizione originaria, quanto dal “decolorimento” del corpo, a cui Gotye assiste inerme. Anche se attraverso la moderna tecnica della stop-motion, al corpo-manifesto viene quindi strappato il colore, tolto da un gesto selettivo e appropriativo in modo che da sotto affiori la composizione neutra e nuda del corpo oramai libero, come un décollage di Mimmo Rotella.

La simmetria reciproca fra il mezzo tecnologico e le forme aperte del mondo della vita rivela, in questo videoclip, il corpo dell’artista (oltre alla canzone) come presente in prima persona. La presenza reale di sé è una fonte inesauribile di atti di vita, di atteggiamenti esasperati e dolorosi: la vista, il suono e il movimento si integrano, incontrandosi nell’unità indivisa di comportamenti elementari dei rapporti umani.

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 80. Te l’eri perso? Abbonati!

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