07 novembre 2012

Che cosa significa oggi resistere?

 
Tempi duri per i troppo buoni, e anche per gli artisti. Federica La Paglia pensa allora a un progetto, da inaugurare ad ogni plenilunio, per sfruttare le energie del cosmo che si risvegliano. E per resistere. Ecco il suo racconto

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Chi non vuole arrendersi alla crisi può rispondere intensificando la resistenza. È quanto cerco di fare con la rassegna Ventinovegiorni (di resistenza), che s’inserisce all’interno di una più ampia ricerca che sto conducendo intorno agli attuali fenomeni di opposizione e che, a sua volta, è figlia del mio interesse verso il rapporto arte e politica.
Il mio studio si muove a partire dalla convinzione che il legame tra arte e società civile sia imprescindibile (o debba esserlo) e da questa prospettiva osservo parallelamente i mutamenti sociali, il lavoro degli artisti e il loro approccio rispetto al contesto in cui vivono. Convinta che ognuno di noi possa e debba agire, io scelgo di resistere anche proponendo questo progetto, stimolata e sostenuta dai molti “atti di resistenza” che scorgo oltre la sfiducia ed il malessere diffusi.

Dopo l’indagine intorno alla migrazione, proposta anche nella mostra birds of passage (Matera, 2009) – in una terra da sempre segnata dal fenomeno – l’analisi dei profondi stravolgimenti socio-economici e culturali degli ultimi anni, mi ha condotto a focalizzare l’attenzione sulla risposta del cittadino e dell’uomo, sollevando al contempo l’interrogativo sulla reale o presunta crisi degli intellettuali.
Lo sguardo sulle diverse reazioni nei vari Paesi, mi ha spinta a domandarmi come il singolo individuo e tutta la società civile possano sopravvivere al crollo delle basi su cui avevano costruito la propria esistenza, e su come resistano alle difficoltà quotidiane anche quando sono messi in discussione persino i diritti fondamentali. E mi sono domandata se gli artisti, attraverso il loro lavoro, ancora leggano e traducano realmente l’oggi con capacità critica e sensibilità verso le sue implicazioni future. Dove sono finiti gli spiriti arguti e taglienti che hanno ritratto il ‘900?

Da questi interrogativi – e dall’immagine di una crisi che travalica i meri aspetti finanziari – nasce l’investigazione che, nello studio Menexa a Roma, assume una prima forma dialettica attraverso la rassegna il cui titolo prende spunto dallo scadenzario delle inaugurazioni.

Dal 30 settembre 2012, infatti, ogni ventinove giorni – la sera di plenilunio – viene inaugurata una mostra: un solo artista, una singola opera. La relazione tra “il pretesto calendaristico” ed il tema è giustificata dalle antiche credenze secondo cui con la luna piena si risvegliano le energie del cosmo, segnando ogni volta una rinascita della natura e il picco delle forze fisiche, mentali e spirituali. Dunque, l’occasione è propizia per affrontare il tema della resistenza con l’obiettivo di creare un microambiente di riflessione sul vivere d’oggi, in un luogo che pur non deputato all’arte, vi lascia spazio in continuità con le gallerie che prima lo occupavano, esprimendo anch’esso, a suo modo, una forma di resistenza, in un momento in cui purtroppo molte gallerie chiudono.

La sequenza espositiva segue una logica che va dalla sfera privata a quella pubblica e il mio programma è affrontare la tematica in modo sfaccettato, cercando di guardare ai diversi ambiti e modi con cui la resistenza oggi viene espressa, così da arrivare – è questo il tentativo della ricerca – a rispondere alla domanda fondamentale: che cosa significa oggi resistere?
Per questo ad aprire il ciclo è stata l’opera Acqua azzurra acqua chiara (2003) di Elvio Chiricozzi, che offre lo spunto per guardare in termini metaforici all’uomo contemporaneo, appena un adolescente con la voglia di affermare se stesso e combattere le regole ingiuste ma – come appunto un ragazzino senza esperienza – insicuro per la mancanza dei capisaldi del suo passato e del credo nelle ideologie che hanno guidato chi è venuto prima.

Dopo di lui ho ritenuto dover guardare a quello che accade nelle strade, a come il singolo – particolarmente in Italia – si proietta nella comunità. In questo senso il lavoro di Sandro Mele mi appare interessante e l’opera scelta per la rassegna, Dolce risveglio (2011-2012), in parte risponde alla mia domanda sul ruolo e la visione degli artisti. Mele ha tradotto perfettamente il senso di sopportazione della resistenza media italiana, trasponendolo sino ad ipotizzare una rischiosa evoluzione.
Nei prossimi appuntamenti si affronteranno altri aspetti, la drammatica attualità segna tutta la rassegna, ma per resistere lasciamo pure spazio all’ironia, che aiuta a sostenere il peso della fatica. Così, dopo il “gioco” duro dell’ecuadoriana María Rosa Jijón – che sintetizzerà due contrapposte resistenze – e prima di futuri sviluppi, vedremo Iginio De Luca che mette in campo se stesso come vettore di resistenza, quasi un eroe contemporaneo, un po’ Robin Hood un po’ Peter Pan. Perché per poter resistere – e affrontare il nuovo anno e nuove lune – bisogna rinforzare le difese immunitarie. E talvolta un sorriso, seppure amaro, aiuta a combattere i mali di stagione.

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