10 maggio 2013

Il giro del mondo a bordo dell’arte

 
Una collezione vastissima, che spazia dal Minimalismo alla Pop Art, passando per il Bauhaus e l'Arte Cinetica. Con dentro Kosuth, Buren, Judd, Alviani, Warhol e i più giovani Philippe Parreno e Silvie Fleury. Tutto questo (e oltre) è la Daimler Art Collection. Che dopo aver fatto il giro del globo, è in mostra ora a Brescia in un quasi altrettanto ricco vis-à-vis con una selezione della raccolta dei Musei Civici

di

Maurizio Cattelan, Senza titolo (Natale ’96), 1996 gomma e modellini di abeti cm 16,5x35x17,5 collezione privata

Più di 300 opere esposte, 150 artisti di fama internazionale, due percorsi a confronto in un’unica grande rassegna. Il tutto su una superficie espositiva di 14mila metri quadrati all’interno di un complesso monastico iscritto dall’Unesco nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Sono questi i numeri di “Novecento mai visto”, l’esposizione in corso fino al 30 giugno a Brescia nel polo museale di Santa Giulia, dopo essere stata a Singapore, San Paolo, Tokyo, Cape Town, Johannesburg, Buenos Aires e Vienna.
La rassegna mette a confronto una delle più celebri collezioni d’arte contemporanea europea, la Daimler Art Collection, protagonista del percorso espositivo “From Albers to Warhol to (Now)” con le opere dei grandi maestri novecenteschi della sezione “Da De Chirico a Cattelan e oltre”. I due itinerari appaiono diversi ma complementari, parti diverse di una stessa mela, opposti eppure imprescindibili nel compito di fornire allo spettatore uno spaccato completo e il più possibile esaustivo del recente passato artistico. Un confronto nel confronto, oseremmo dire, poiché il tutto è inscenato nell’ambito del fertile dialogo tra la contemporaneità della ricerche proposte ed il suggestivo contesto storico-architettonico della location: un monastero benedettino di epoca longobarda fatto erigere da Re Desiderio sopra ai resti di alcune domus romane di cui oggi sono conservati affreschi parietali, mosaici e statue in bronzo.
Andy Warhol, Mercedes-Benz Formel-1-Rennwagen W196 R Stromlinie [Mercedes-Benz Formula 1 racecar W 196 R Streamline], 1954, 1986, 102 x 152 cm

La collezione tedesca, fondata nel 1977 ed oggi evoluta sino ad inglobare più di 2000 opere, giunge per la prima volta in Italia grazie al Museo Mercedes-Benz di Stoccarda in collaborazione con il Museo Mille Miglia di Brescia; una cooperazione proficua, atta a celebrare la comune passione per la cultura automobilistica nella città che ogni anno ospitano la partenza della storica competizione.
La prima parte del progetto, interamente dedicata alla collezione tedesca, snocciola opere di autori appartenenti alle principali stagioni artistiche della contemporaneità: Bauhaus, Minimalismo, Costruttivismo, Arte Concreta e Avanguardia Zero per arrivare a personalità fulcro come Enrico Castellani, Dadamaino e Getulio Alviani che, ponendo in discussione i fondamenti stessi della pratica artistica vigente, segnarono un notevole punto a favore nel processo di sdoganamento dell’Arte Concettuale e del Minimalismo in Europa. Lungo la medesima linea si collocano i lavori di Joseph Kosuth e Daniel Buren, in grado di palesare al visitatore nuovi dogmi di un inedito modo d’intender l’arte, come la relatività dei criteri con cui un’opera viene definita tale e la conseguente visione di quest’ultima come linguaggio.
Martin Boyce, Robert Barry, Conceptual Tendencies 1960s to today Daimler Contemporary Photo: Hans-Georg Gaul, Berlin

Seguono all’interno del percorso artisti come Donald Judd, Sol Lewitt e Charlotte Posenenske, a rimarcare l’esistenza di un ideale fil rouge in grado di legare le esperienze minimaliste europee a quelle d’oltreoceano, e le bellissime sezioni monografiche dedicate ad Andy Warhol, John M. Armleder, Sylvie Fleury, Philippe Parreno e Martin Boyce che dominano l’esposizione insieme a fotografie, video e installazioni multimediali riconducibili a quella New Media Art che ben si presta all’interpretazione e alla denuncia delle questioni cardine della contemporaneità.
Chiude questa prima parte della mostra una serie di lavori su commissione incentrati sulla figura dell’automobile nel doppio ruolo di musa ispiratrice ed icona. Appartengono a questa sezione le Cars di Warhol (una serie di 80 opere di cui solo circa la metà ha visto la luce prima della prematura scomparsa dell’artista) i lavori di Robert Longo, Richard Hamilton, David Hockney e i video di Sylvie Fleury destinati al Mercedes-Benz Center parigino e per la cui realizzazione l’artista svizzera sfrutta l’allure delle vetture del colosso automobilistico tedesco saldato alle ultime tendenze artistiche contemporanee. Il risultato? Una pregevole grammatica visiva a metà strada tra la critica sociale ed il glamour da rivista patinata.
In direzione apparentemente opposta il percorso “Da De Chirico a Cattelan e oltre”, dedicato alle esperienze artistiche novecentesche made in Italy, seppur con qualche eccezione. Il nucleo comprende più di 80 opere e proviene della raccolta dei Musei Civici di Brescia con il sostanziale contributo di alcune collezioni private, in particolare quella di Guglielmo Achille Cavellini, eccentrico ed illuminato collezionista e mecenate bresciano.
Sylvie Fleury, Aura Soma, 2002 Light Box, Aura Soma Glass Bottles Daimler Art Collection

Il percorso si schiude con opere appartenenti al Futurismo mentre gesto, segno e materia caratterizzano lavori come quelli di Capogrossi, Ballocco, Vedova, Morlotti e Fontana. In particolare, le celeberrime tele violate di quest’ultimo furono motivo d’ispirazione per un’intera generazioni di artisti cresciuta a cavallo tra gli anni Cinquanta-Sessanta e di cui la rassegna propone lavori archetipici come quelli di Castellani e Manzoni. Fanno la loro magistrale apparizione opere di Schifano, Turcato, Ceroli, Scheggi e una folta sezione dedicata alla grande (non lo si dirà mai abbastanza!) stagione dell’Arte Povera con lavori di Anselmo, Pistoletto, Penone, Zorio, Mattiacci, Calzori, Paolini, Boetti ed un piccolo igloo di Mario Merz visibile insieme ad altre installazioni nella Domus dell’Ortaglia.
L’auspicata sinergia tra pubblico e privato ha in questo caso permesso a Futurismo, Informale, Spazialismo e Arte Povera di sfilare al fianco di maestri del ritorno alla figurazione come De Chirico, Morandi e Sironi (collezione Scalvini).
Giorgio Morandi, Natura morta, 1946 olio su tela cm 32x48 Brescia, Musei Civici d’Arte e Storia

Di tutt’altra ispirazione le opere di Dan Graham e Anish Kapoor (collezione Massimo Minini), collocate rispettivamente in uno dei chiostri e nell’abside delle chiesa longobarda di San Salvatore, fungono da strumenti di un’operazione di esortazione e verifica della capacità del contemporaneo di rapportarsi con la suggestiva cornice architettonica del sito. Opera e contesto affinano le proprie peculiarità storiche e linguistiche e divengono strumento prezioso di reciproca valorizzazione.
Cosa manca a questa mostra? Un allestimento funzionale e meno dispersivo, in grado di valorizzare in maniera congeniale capolavori, come giustamente titola la rassegna, rimasti inaccessibili per oltre quarant’anni e oggi riesumati all’insegna della celebrazione del Novecento artistico.
Positiva è invece l’ideazione di due distinti macro-percorsi in grado di convogliare espressioni differenti di una medesima pratica, quella collezionista, in un’unica, grande rassegna, che diviene occasione per delineare un orizzonte di inedita potenza visiva e grande forza comunicativa.

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