16 maggio 2013

La Genesi secondo Sebastião Salgado

 
Il noto fotografo brasiliano ha inaugurato ieri al museo Ara Pacis di Roma la sua nuova mostra, frutto di un lavoro dopo una pausa di dieci anni. Un viaggio catartico lungo i cinque continenti per ripartire dal paradiso perduto, ma anche ritrovato, che è la natura del nostro pianeta. E anche da quelle popolazioni che vivono a contatto con essa. Oltre la violenza e lo scempio, per non dimenticare che "siamo parte di un tutto"

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Sebastião Salgado al Museo dell'Ara Pacis (foto Manuela De Leonardis)

Uno sguardo indietro nel tempo che è anche una lungimirante proiezione in un futuro possibile. Dolore, scempio, violenza, distruzione causata dalla stessa cecità umana sono una realtà innegabile, come lo è – con altrettanta evidenza – quello che la natura può ancora offrire all’uomo con grande generosità. 
«Bisogna ripartire da tutto questo», afferma Sebastião Salgado (Aimorés, Stato di Minas Gerais, Brasile  1944, vive a Parigi) nel presentare la mostra “Genesi. Sebastião Salgado”, realizzata da Amazonas Images e prodotta da Contrasto e Zètema, che al Museo dell’Ara Pacis (fino al 15 settembre) inaugura il tour mondiale. “Siamo parte di un tutto”.
Genesi è il racconto di paradisi mai perduti, in realtà, ma ritrovati nella loro essenza originaria. Luoghi in cui minerali, flora e fauna sono essere viventi al pari dell’uomo (popolazioni indigene come gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana, i Pigmei delle foreste del Congo o gli aborigeni della Nuova Guinea) e che convivono in totale equilibrio e armonia. 
Sebastião Salgado - Kafue National Park, Zambia, 2010 © Sebastião Salgado/Amazonas Images
Una spossatezza fisica e psicologica era seguita ai progetti precedenti in cui la fotografia si era fatta portavoce di istanze politiche e sociali (La mano dell’uomo, In cammino e Ritratti di bambini in cammino), tanto che il fotografo brasiliano aveva deciso di prendersi una pausa lunga dieci anni prima di ricominciare a fotografare. 
Allora aveva trovato proprio nella terra, il suo Brasile, un nuovo inizio, dedicandosi con sua  moglie Lélia Deluiz Wanick Salgado, compagna di viaggio e curatrice anche della mostra “Genesi. Sebastião Salgado”, al ripristino dell’ecosistema con il rimboschimento della selva tropicale della Mata Atlantica, consapevole che la terra è un patrimonio comune dalla portata incommensurabile. 
 Sebastião Salgado - Etiopia, 2007 © Sebastião Salgado/Amazonas Images
Il risultato è stata la creazione di un immenso vivaio con oltre 2 milioni e mezzo di alberi piantati di 300 specie diverse. Da questa sfida ne è nata un’altra, questa nuova mostra che raccoglie 243 fotografie in bianco e nero (una selezione rigorosissima dei circa diecimila scatti), reportage realizzati tra il 2004 e il 2012 attraversando i cinque continenti: la mostra è accompagnata dal catalogo Taschen, da un prezioso libro in grande formato destinato ai collezionisti e anche da un film realizzato dal figlio Giuliano con Wim Wenders. 
Salgado è partito dal sud del mondo (Argentina, Antartide) per arrivare in Alaska, passando per Papua, Nuova Guinea, Siberia, Madagascar, percorrendo poi l’Africa, per inoltrarsi infine nell’Amazzonia venezuelana e brasiliana. 
Il suo sguardo di non credente è attraversato da un senso profondo di spiritualità quando guarda i ghiacciai dell’antartico, le rocce stratificate del Grand Canyon, le sabbie morbide del Djanet, come pure le case sugli alberi dell’etnia dei Konowai in Papua, il cacciatore del Botswana, gli sciamani del Mato Grosso. Poi, per la prima volta, sposta l’attenzione dall’animale-uomo a tutti gli altri animali: pipistrelli, iguana, giaguari, caimani, balene, pinguini, renne… 
Sebastião Salgado - Arizona, USA, 2010 © Sebastião Salgado/Amazonas Images
La sfida maggiore, per lui, è stata proprio fotografare gli animali, a partire dal primo: la tartaruga gigante delle Galapagos. Ecco il suo racconto: «Mi avvicinavo a questo bestione e, camminando, mi chiedevo come avrei fatto a fotografarlo. Normalmente so che per fotografare qualsiasi soggetto bisogna avere con lui una certa intimità. Ma come realizzare quest’intimità con una tartaruga? Intanto mi sono messo al suo stesso livello, inginocchiandomi. La tartaruga si è fermata. Avanzavo camminando su gomiti e ginocchia. Mi sono fermato. A quel punto la tartaruga è venuta verso di me. Mi sono ritirato un po’. La tartaruga ha capito che le stavo manifestando il mio rispetto. A quel punto è lei che si è incamminata e finalmente è venuta verso di me. Allora ho capito che aveva nei miei confronti la stessa curiosità che io avevo nei suoi. Con quella tartaruga ho passato tre, quattro ore, scoprendo una cosa per me cruciale: per tutta la vita mi avevano raccontato delle bugie. Mi avevano detto che l’essere umano è l’unica specie razionale che esista al mondo! È una bugia perché ogni specie animale è razionale a suo modo e nel suo ambiente. Quella tartaruga me lo ha dimostrato. Anche lei ha avuto bisogno di darmi una certa autorizzazione per lasciarsi fotografare, esattamente come qualsiasi altro soggetto umano».

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