21 luglio 2013

Caro Ministro ti scrivo

 
Nel marasma in cui versa l'Italia, continua a sembrare un lusso pensare alla cultura. La quale però, è bene ricordarlo, ha molto a che fare con una possibile ripresa, allenando mente e inventiva per trovare nuove prospettive entro cui articolare proprio quella “ripresa”. Abbiamo pensato di scrivere una lettera aperta al Ministro Bray, raccogliendo i suggerimenti di alcuni operatori dei Beni Culturali. Rispondono, in questa prima parte, Marini Clarelli, Fuortes, Laterza e Coen

di

Maria Vittoria Marini Clarelli

Maria Vittoria Marini Clarelli, Soprintendente Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
Propongo un apparente paradosso: per affrontare le emergenze occorre uscire dall’ottica dell’emergenza. Il settore che conosco meglio, quello dei beni culturali, ha bisogno di strategie di ampio respiro, senza le quali si rischia di perdere per strada anche una parte delle poche risorse disponibili. La cura del patrimonio culturale, intesa come un grande tema collettivo, che tocca anche la società civile, a mio avviso richiede interventi su quattro fronti. 
1) Anzitutto l’educazione nelle scuole e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, per superare l’indifferenza pratica verso la conservazione della nostra eredità che conduce da un lato al vandalismo anche spicciolo e dall’altro a prendere decisioni politiche che mettono la cultura sempre all’ultimo posto. Se gli italiani non si appassionano per primi ai loro beni, allora c’è un deficit di democrazia, di esercizio del diretto alla cultura.
2) Il secondo fronte è un’effettiva programmazione/progettazione degli interventi, secondo piani pluriennali che permettano di convogliare sforzi e risorse verso obiettivi ambiziosi e di scala nazionale, anche se declinabili a diversi livelli regionali, locali e perfino individuali. In questo modo si dovrebbe poter riaprire il terzo fronte, quello della sperimentazione che in campi quali il restauro, gli allestimenti espositivi, la ricerca storico-artistica, i nuovi materiali ha prodotto in Italia tanti risultati d’eccellenza. E affinché ciò sia possibile, occorrerebbe razionalizzare le spese. I musei, per esempio, sono per natura grandi consumatori di energia e dovrebbero poter contare su tariffe agevolate. Altrimenti qualcuno deve prendersi la responsabilità di staccare la spina della climatizzazione alle opere d’arte.
2) Infine spenderei una parola sull’arte contemporanea. L’Italia vanta una gloriosa tradizione di artisti coinvolti nelle scelte di politica culturale (si pensi a Raffaello o a Canova). Perché oggi non si torna a coinvolgerli nelle grandi decisioni che riguardano l’aspetto del mondo, dal paesaggio alle città, agli stili di vita?
Carlos Fuortes

Carlo Fuortes, Amministratore Delegato Fondazione Musica per Roma e Commissario Straordinario Teatro Petruzzelli di Bari 
1) Aumentare le risorse alla cultura e al FUS. Si deve invertire la decrescita in atto dal 2002 quando si toccò il punto più alto degli investimenti: 2,7 miliardi di euro, pari allo 0,37 del bilancio dello Stato. Da quel momento i fondi alla cultura sono stati progressivamente tagliati fino ad arrivare al 2012 a 1,5 miliardi, pari allo 0,2 del bilancio statale. Una diminuzione di quasi il 50%, assolutamente inaccettabile. Si dice che mancano le risorse, è una scusa che non regge. Se un governo non è in grado di spostare di un decimo di punto le risorse che amministra, non svolge la funzione per la quale è stato eletto. Le parole di Enrico Letta, che ha affermato di essere pronto a dimettersi se qualcuno gli chiedesse di tagliare ancora, fanno ben sperare. Quindi, attendiamo con una certa fiducia. Considerando anche il fatto che in Europa gli altri Paesi hanno risorse doppie o triple delle nostre. Ma tenendo soprattutto presente che la cultura in Italia è l’unica risorsa competitiva a livello internazionale, lo è da 2.500 anni. E che è “labour intensive”: quasi tutta la spesa fatta in questo settore si trasforma in reddito da lavoro. Quindi è particolarmente adatta a superare l’attuale fase di stagnazione dell’economia.
2) Spendere meglio. Deve aumentare l’efficienza del settore, responsabilizzando il management sui risultati, come è accaduto in alcune istituzioni culturali degli Enti Locali. E si deve operare il controllo su come vengono spese le risorse, migliorando quindi il rapporto, sempre ambiguo e spesso sbagliato, tra Stato, politica e cultura. Lo Stato deve svolgere il ruolo di regolatore, finanziatore e controllore, ma non deve essere il gestore della cultura. Purtroppo, invece, la pubblica amministrazione e la politica intervengono a sproposito nella gestione degli istituti culturali, affidandoli a politici a fine carriera o a “clientes”. In questo modo si compromette la credibilità del settore. E non a caso la spesa in cultura è considerata spesso spreco e prebenda. 
3) Innovare il settore per aumentare la legittimazione sociale. È l’unico modo per far si che i finanziamenti alla cultura vengano difesi dalla collettività, specie in una fase di risorse pubbliche scarse. Deve aumentare l’autonomia delle istituzioni culturali, l’efficienza economica e l’attenzione alla qualità dell’offerta, che deve tener conto della collettività alla quale si rivolge. L’autonomia porta anche a un aumento dell’autofinanziamento e alla diversificazione delle entrate, non solo pubbliche. Penso agli sponsor e non solo. Devono aumentare i contributi privati e occorre defiscalizzare maggiormente le erogazioni liberali, che in Italia sono ferme al 20 per cento, contro il 30 per cento degli Stati Uniti e percentuali addirittura superiori in alcuni Paesi europei. Ma, parallelamente, è necessario un cambio di rotta culturale. Ad esempio il rapporto con i privati sta cambiando, dal mecenatismo alla partnership: il privato vuole essere coinvolto nei progetti culturali che finanzia. Il suo intervento spesso viene vissuto come un pericolo, ma nella mia esperienza ho sempre riscontrato nel privato una grande attenzione alla qualità. E la partnership si realizza se si è soggetti autonomi e credibili.    
Alessandro Laterza

Alessandro Laterza, editore e Presidente della Commissione Cultura di Confindustria e Vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno
Per Confindustria la cultura è un tema che riveste un ruolo così centrale e determinante che lo ha inserito all’interno del suo Progetto per l’Italia, “Crescere si può, si deve”, come uno dei principali driver per lo sviluppo economico del Paese. Le cose da fare sono tante, gli interventi da mettere in campo molteplici. 
1) Per cominciare: estendere su scala nazionale il modello dei poli museali di eccellenza, anche attraverso il rafforzamento del ruolo dei privati nella loro gestione manageriale. È necessario vendere o dare in prestito oneroso le opere tenute chiuse nei magazzini dei musei italiani e finanziare con il ricavato attività e gestione dei musei stessi. Un altro settore a cui bisognerebbe mettere mano è quello cinematografico con il rinnovo del tax credit
2) Rafforzare l’istruzione artistica e qualificare l’offerta formativa postdiploma nei campi del restauro, della valorizzazione e della gestione dei beni e delle attività culturali.
3) Prevedere la deducibilità integrale dall’imponibile delle donazioni e delle sponsorizzazioni nel campo dei beni e delle attività culturali trovando formule che consentano l’intervento di privati e del terzo settore anche per i musei di piccole dimensione che altrimenti finiscono per essere cenerentole.
L’Italia possiede risorse inestimabili e illimitate che troppo spesso rimangono dimenticate o, peggio, sono vittime di una gestione che nel migliore dei casi è inadatta. Quando si parla di beni culturali è bene fare una scelta precisa, decidere se li si considera rilevanti al di là della retorica di cortesia. Se è così, allora è necessario porsi il problema delle risorse e dell’organizzazione. La cultura della formazione, della ricerca e delle arti rappresenta il cuore e la testa di un Paese. Non sostenerla significa lasciar morire la nostra identità, la nostra storia e il nostro ingegno. Senza dimenticare che le bellezze artistiche e culturali, oltre alla valenza di attrazione turistica, sono cifra fondante e ambasciatori riconosciuti del made in Italy: uno stile di vita e di lavoro che impronta i più diversi settori del “saper fare” italiano nel mondo.
Ester Coen con Lia Rumma

Ester Coen. storica dell’arte e docente all’Università dell’Aquila 
I punti che elenco di seguito sono così ovvi che quasi provo vergogna a enunciarli. Tuttavia in un momento così drammatico di crisi bisogna mettere in atto tutti i metodi, anche quelli che parrebbero logici e scontati, per rivalutare e dare nuova forza alla nostra cultura, immaginando una strategia della crescita strettamente basata sulle competenze e sulle ricchezze esistenti del territorio italiano.
1) Monitorare l’educazione dei giovani, dai licei e dalle scuole d’arte fino al termine degli studi in parallelo con i rispettivi Ministeri per garantire l’adeguata formazione e lo sviluppo della figura dello storico dell’arte, dell’architetto e del restauratore secondo modelli da applicare ed esportare all’estero.
2) Sfruttare dinamismo ed energia dei laureandi e laureati in storia dell’arte e in architettura per lanciare nuove idee e progetti (per la rete o l’editoria, ad esempio) attraverso bandi nelle università e nelle accademie di belle arti.
3) Rivalutare e potenziare aree e luoghi di interesse turistico – anche quelli meno noti – attraverso una politica di valorizzazione dei beni culturali coordinando tale impegno con la crescita di posti lavoro per laureati giovani e meno giovani. Incrementare l’offerta della rete turistico-alberghiera promuovendo l’immagine coordinata di un’eccellenza legata alla cultura e ai suoi straordinari prodotti locali.
4) Coordinare e armonizzare la gestione del patrimonio pubblico con la collaborazione dei privati in una giusta logica di produzione e di tutela. Offrire agevolazioni fiscali per donazioni e per investimenti nei diversi settori della cultura. Questo porterebbe ad arricchire le collezioni dei nostri musei soprattutto se l’azione fosse abbinata a un abbassamento dell’aliquota IVA per la compravendita di opere d’arte.
5) Riformulare l’offerta dei musei e delle realtà contemporanee secondo un ponderato disegno di incremento economico creando una rete nazionale, ma soprattutto istituendo o potenziando i rapporti con l’estero in una logica di coordinamento e non di frazionamento o di inopportuno individualismo come avviene oggi.
Questi i pochi, essenziali punti della politica necessaria in un Paese che possiede la più alta percentuale di beni storico-artistici in rapporto alla sua superficie e che deve assolutamente ritrovare l’energia e la capacità di sovrintenderli.

1 commento

  1. quando l’economia capitalista deve salvarsi allora anche la cosidetta cultura ,oltre milioni di persone povere,operai,emarginati ecc. sono penalizzati,il sistema della rapina hà la priorità anche sulle nostre vite…..il tipico linguaggio pieno di luoghi comuni liberal-riformisti politici-sociali-economici qui viene ripreso dai managers-operatori di turno…sentire loro o uno dei tanti politici italiani è la stessa cosa.Sono completamente vissuti da una ideo-onto-logia la quale si esprime attraverso il linguaggio essendo esso stesso struttura ideo-logica.Sù tutto aleggia la parola Cultura,ambivalentemente male intesa,Cultura vanto ed orgoglio della Patria,Cultura che illumina i cuori e la mente,dei popoli ecc.manca solo una definizione più consona ai tempi che viviamo oggi : Cultura come un tipo di merce da vendere,perchè l’essere (sociale) è produzione e vendita,la reificazione è totale e globale.Ma la Cultura è secondo l’indicazione di Adorno,anche racket sociale-clientelare come ogni comparto della attuale società ontologicamente ormai scaduta come una merce avariata.

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