22 settembre 2013

Pronti, partenza, Start! Ma dove andiamo?

 
Dieci giorni bollenti a Milano, dove l'ombra di Start macina opening, seguiti a ruota o anticipati da gallerie e spazi indipendenti che fanno il tutto esaurito. Sotto il cielo lombardo il contemporaneo mantiene un'ottima offerta, ma è difficile parlare di “art week”. Perché i numeri non sono quelli di Berlino, solo per fare un esempio, e perché sembra mancare una vera “unione” tra gli stessi addetti ai lavori. Ecco un giro nel primo week end

di

Maddalena Ambrosio, Senza titolo, 2013, kodak endura Ed. 3

Milano vestita a festa! È Start. Ma potete iniziare a leggere tra le righe “quando un titolo sembra non contare più niente”. Perché l’impressione palpabile è che la manifestazione ideata da Pasquale Leccese sia solo un pretesto per inaugurare congiuntamente, anche chi con il circuito Start non appartiene. Come del resto si fa sempre in via Ventura, per esempio, che nella serata di giovedì sembrava tornata agli antichi splendori. Non tanto come pubblico -si sono visti opening decisamente più frequentati- ma come qualità dell’offerta espositiva. 
In realtà la vera “Start Week”, coordinata e “diffusa” anche grazie al supporto di That’s Contemporay e That’s App, da due anni Media Partner dell’evento,  è stata anticipata di due giorni, a partire dall’opening di Bianconi, che ha decisamente fatto il tutto esaurito con la performance-tableau vivant di Luigi Presicce, e i vicini Luca Tommasi -con la splendida mostra dedicata a Sergio Lombardo- e Giò Marconi. 
Perché di Start in via Ventura non c’è nemmeno l’ombra: unica galleria aderente al progetto è Mimmo Scognamiglio, con una bellissima mostra fotografica “Shots – Il lato umano della fotografia”, quasi di impianto museale, dove si trovano Andres Serrano e Yasumasa Morimoura, Cindy Sherman e Araki, passando per Maddalena Ambrosio, Nan Goldin e Erwin Olaf. C’è De Carlo invece, che appartiene al nucleo Start, ma aprirà la personale di Kaary Upson solo il prossimo 25 settembre. Quello che lascia, ogni edizione più perplessi, è la dilatazione nel tempo di una manifestazione che, invece, funzionava perfettamente nel breve periodo. Quattro giorni di arte, stop. E gallerie aperte, venerdì, sabato e domenica, magari fino alle 22. Come avviene in città (come Berlino) dove i numeri di Milano sono bruscolini. E invece no, a Milano si esagera. Con il risultato che il venerdì pomeriggio, giorno dopo l’opening e, in teoria, in pieno week end Start, alcune gallerie si siano viste chiuse ancora prima dell’orario ufficiale, le 19! Il fine settimana incombe sempre a Milano, e il pensiero pessimo che sia più importante l’aperitivo che il resto, non si riesce a eliminare dalla mente. 
da Prometeo Gallery di Ida Pisani Alberto Burri, Cellotex nero

Ma torniamo in Via Ventura, dove splendide mostre fanno capolino in questo settembre: una su tutte “Nero Luce” alla Prometeo di Ida Pisani. Che shocca tutti e mette alle pareti due cellotex di Alberto Burri, Louise Nevelson, Nunzio e Rossella Biscotti. Una mostra lirica e schematicamente poetica, che la gallerista spiega come un progetto culturale, anche per avvicinare i giovani artisti a figure lontane, ma a cui oggi non si può fare a meno di guardare. E non è un caso che Rossella Biscotti, con il suo Conduttore, illumini un piccolo lavoro scurissimo della Nevelson. Un anticipo a quello che sarà un dialogo d’eccezione, che a ottobre porterà Prometeo a mettere insieme le figure di Jannis Kounellis e Santiago Sierra. 
Se l’operazione di Ida Pisani con i “grandi vecchi”, potrebbe essere tacciata di essere il modo per assicurarsi qualche facile vendita, la bellezza dell’operazione riscatta il pensiero. 
Opening da Francesca Minini, con la mostra di Matthias Bitzer, Amherst/Ether/Fields

Il berlinese Matthias Bitzer è invece alla sua terza personale da Francesca Minini e la sua “Amherst/ Ether/ Fields” fa centro. Una bella mostra sul tema dello spazio, con Georges Perec e il suo “Specie di Spazi” a fare da linea guida spirituale e “dedicando” a Emily Dickinson e alla sua finestra, unico occhio sul mondo proprio da Amherst, nel Massachusset, l’ambiente dell’immaginario. Tra le opere in mostra da Minini un ottimo complesso installativo, in grado di mischiare lo spazio areo occupato dal fumo, le trasparenze del vetro, ricordando Duchamp, l’assolutezza di un monocromo e dell’Astrattismo, la superficie di un esperimento cromatico vicino alle “Porte della percezione” di Adouls Huxley, nonostante le citazioni esplicite di alcuni modelli non siano mai espresse. Di altro spazio, gonfiabile, si parla alla Galleria Monopoli, con un’ottima mostra su Franco Mazzucchelli e le sue esperienze legate anche all’uso dell’ambiente pubblico negli anni ’60 e ’70. Alle pareti risultati di sperimentazioni con il PVC, fotografie storiche e documenti, in una piccola antologica che lascia intravedere una grande modernità. 
Nam project: Robin Seir, Lost in reflection

E alla mente arriva un altro pensiero: che in questo opening congiunto in via Ventura siano proprio i vecchi a fare le scarpe ai giovani? Le superfici pittoriche di Robin Seir, svededese classe 1986, esposto con “Lost in reflection” nel bello spazio di NAM Project, e che vogliono rimandare ai monocromi modernisti, alla pittura derivata dal Post moderno, con l’utilizzo di supporti poveri e spatolate di acrilico, spray e motivi quasi floreali, non hanno particolare appeal, mentre convince di più “l’osservare attraverso le immagini” di Andrea Romano, che in Doorkijkje mischia le linee dei Flinstones, il cartoon firmato da Hanna-Barbera, e in collaborazione con il fotografo Delfino Sisto Legnani sperimenta un approccio sui concetti di desiderio/produzione legati alle immagini, nel dualismo desiderante-desiderabile. Operazione che, anche in questo caso, ci riporta una realtà molto diversa visivamente dall’originale. Promossa, insomma, in pieno l’arte dalle parti di Lambrate, nonostante la mancata presenza del “big” assoluto.
Opening da Fluxia con la mostra di Andrea Romano, Doorkijkje

Ma come si scriveva più sopra, Start in fondo oggi, più che il tentativo di fare sistema da parte delle gallerie, appare come un pretesto per opening congiunti anche di altre realtà, decisamente più indipendenti. È il caso di Rizhoma Gallery, il no profit gestito da Martina Colajanni, che attualmente sta focalizzando la sua lente di ricerca sulla giovane fotografia inglese, proveniente soprattutto da Brighton e dalla scuola d’arte di Newport. In questa prima tranche, alle pareti di via Plinio 20, si alternano gli spazi di paesaggio documentati da Luke Boland, Sam Laughlin e Alexander Norton, primo incontro con una generazione di giovanissimi nomadi, alla ricerca di un denominatore comune che possa attraversare spazio urbano, collettività e ambiente sociale. E poi, nella Milano della settimana della Moda, sfodera i propri assi anche Marsèlleria, con la mostra di Daniele Innamorato e un viaggio fotografico che nasce nel 1985 e continua fino ad oggi. 
Luke Boand, SierraNevada, da Rizhoma Gallery

«Un viaggio tra volti e corpi femminili che incontrano l’autore, lo attraversano e arrivano allo spettatore filtrati dal suo sguardo. Un percorso interiore attraverso il ritratto, la passione per la donna, gli anni e il feeling, a volte lieve, altre intenso, che dagli scatti traspare. Istanti, momenti e situazioni immortalati in maniera ossessiva, quasi bulimica che prendono vita nei volti, nei dettagli, nei corpi nudi ed erotici fino a raggiungere l’estrema sincerità dell’autoscatto erotico» scrive Federica Tattoli sul progetto “Impression”. 
Quello che traspare, in fondo a questo primo tour, visto che la settimana di Start continua fino a venerdì 27 settembre, con il finissage del viaggio di Roland Ultra da Assab One, è una Milano che sembra incedere, forse un po’ a passo lento, verso una sorta di punto di “non raffreddamento”. Perché se Start è, insomma, un po’ accantonato, e ce lo dicono “out of record” parecchi galleristi che in più di un’occasione hanno fatto parte del circuito, è giunta l’ora di un ulteriore risveglio. Per tentare di trasformare il rito del contemporaneo a Milano non solo in un appuntamento per addetti ai lavori, ma per la città intera, così come è per la moda e  per il design. Lo ripetiamo spesso, è vero. Ma visto che i risultati espositivi, anche quando scoordinati, sembrano essere ottimi, sarebbe forse necessario tentare un’ulteriore coesione. Senza necessità di quote associative e affini, per evitare una dispersione che sotto la Madonnina sembra essere sempre più imperante.

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