07 gennaio 2014

L’intervista/Massimo Minini E ora datemi un museo!

 
È ciclopico Massimo Minini, come la mostra che la Triennale gli dedica per i suoi quarant'anni di carriera, che di certo non possono passare inosservati. Abbiamo voluto festeggiarlo anche noi, con una lunghissima intervista di 40 domande (che pubblicheremo integrale su Exibart.onpaper 85) che lo raccontasse anche in maniera “leggera”, come lui stesso sempre si pone. Ecco il risultato. Buona lettura, e tanti auguri, Signor Gallerista!

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Daniel Buren per Massimo Minini, 40 anni d'arte contemporanea, Triennale di Milano, Foto di Fabrizio Marchesi

Dicembre 2013. Dopo un tour lunghissimo tra la sua mostra, durato più di un’ora e attraverso il quale 70 fortunati hanno potuto conoscere tutto il mondo e gli aneddoti della carriera di Minini raccontati dal suo diretto protagonista, mi apparto con il gallerista -che ha dedicato l’esposizione “Quartant’anni” a Gabriele Basilico- all’ingresso della scala elicoidale di Giuseppe Pagano. Siamo circondati dalla grande installazione di Daniel Buren, concepita come sempre site specific, per questo speciale appuntamento milanese. «40 domande?» mi chiede un po’ perplesso Minini. «Una per ogni anno di carriera». «Allora risponderò» e nel frattempo, svelto, sta già leggendo le prime dai miei appunti. Iniziamo questo affascinante ritratto.
Qual è stato il giorno in cui ha capito che l’arte sarebbe stata la sua professione?
«Pochi giorni fa».
Non le credo.
«Ho sempre dubitato delle mie capacità, ma spingevo in questa direzione lo stesso. Ho aperto la prima galleria nel ’73, ma ho iniziato questo lavoro nel ’71, a seguito di una delusione amorosa. Ma non sapevo se avrei continuato».
allestimento. Massimo Minini, 40 anni d'arte contemporanea, Triennale di Milano, Foto di Fabrizio Marchesi

Ad introdurre il catalogo della mostra di Milano c’è una lettera di Politi del ’73, che interrompe il vostro sodalizio giornalistico per Flash Art. Si ricorda cos’ha pensato quando ricevette quel messaggio da Calice Ligure?
«Che ero fottuto. Avevo mollato il mio lavoro a Brescia, per andare a lavorare con Politi e quando mi ha lasciato a piedi mi sono chiesto cosa cavolo fare. Per un paio di mesi è stato difficile. Sono rimasto a Milano a pensare e poi un amico mi ha detto “Apriamo una galleria”».
In conferenza ha detto che solamente stando a Brescia ha potuto avere una galleria per quarant’anni…
«A Brescia non pago l’affitto, la casa è mia, le spese sono bilanciate tra uscite ed entrate, senza fare debiti».
Per essere un gallerista di serie A, come lei è, bisogna nascere ricchi o diventarlo?
«Bisogna diventarlo, si. Certo, nascere ricchi non è un ostacolo, può essere però un limite. Per diventare un grande gallerista ci vuole grande disponibilità, a volte anche finanziaria, ma soprattutto mentale e culturale. Ho visto persone ricchissime che hanno aperto gallerie e hanno perso tutto nel giro di 3-4 anni, altri che hanno aperto senza una lira e ce l’hanno fatta. Non c’è una regola. “Regola è regolarsi”, come diceva Alighiero Boetti. Ognuno fa con le proprie regole, e poi ci si adatta».
Massimo Minini, 40 anni d'arte contemporanea, Triennale di Milano, Foto di Fabrizio Marchesi

Qualcuno però potrebbe dire che Brescia è provinciale. Che cos’è la provincia per lei?
«La provincia è un luogo mentale. Si può essere in provincia anche stando a New York. Come dice Milan Kundera c’è il provincialismo delle piccole culture, che pensano di erigere delle mura per salvarsi dal grande mondo, ma anche quello delle grandi culture, che pensano di avere al loro interno tutte le varianti rappresentabili e quindi non tengono conto del genius loci che si trova al di fuori. Quando si dice provincialismo lo si intende in senso deteriore, ma in realtà oggi gli schemi sono saltati e le mura sono cadute: il mondo è legato da una grande rete. È provinciale solo chi vuole rimane a coltivare il proprio piccolo orticello».
Torniamo all’arte: la mostra più bella che ricorda di aver mai visto?
«Documenta V a Kassel, nel 1972: Szeemann con l’Arte Povera e i Concettuali, e gli Iperrealisti di Jean-Christophe Ammann».
E la più brutta?
«Tra le grandi mostre?».
Si, evitiamo di sparare sui vicini di casa…
«Il Padiglione Italia di Vittorio Sgarbi, nel 2011 a Venezia».
Nedko Solakov, A beauty IV, 2000-2010, foto Fabrizio Marchesi

Approvato. E se invece dovesse salvare solo uno dei presenti in questa mostra? Io credo Paolini, perché?
«Perché è disponibile. Abbiamo un bel rapporto umano e personale, e perché il suo lavoro prosegue, in una classifica ideale, quello di Lucio Fontana e Piero Manzoni. Se Fontana sfonda la tela e la pittura rimandandoci ad un altrove, Paolini continua nel tempo e nello spazio rimandando sia alla realtà che all’altrove, in una vertigine che possiamo vedere solo stando al suo gioco. Non è un caso che il sottotitolo al Giovane che guarda Lorenzo Lotto sia “Ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1505) e (ora) dall’osservatore di questo quadro”. Lo spettatore si trova esattamente nello stesso “luogo” dove Lotto all’epoca dipingeva quella tela».
Chi la vince nel mondo dell’arte?
«Chi fonda il proprio lavoro su basi solide. Chi bara e chi è furbo ce la fa alla grande in breve termine. Di chi conserviamo la memoria? Di quelli che hanno fondato criticamente la loro attività, al di là dei soldi e del commercio».
Massimo Minini, è “Tutto”, citando Boetti, o vuole dirmi qualcosa che non le ho chiesto?
«[ci pensa un po’ su] Vorrei dirigere un museo! Alcuni grandi direttori vengono dalle gallerie, come Ida Gianelli che ha dato grande prova di sé a Rivoli, ed era una mia collega. È un po’ tardi perché non fai questa roba a 68 anni ma a 48, però…»
Massimo Minini, 40 anni d'arte contemporanea, Triennale di Milano, Foto di Fabrizio Marchesi

A Brescia?
«Potrebbe essere, ma non per Santa Giulia, o per lo meno non solo. Mi piacerebbe un museo che si occupasse di antico e contemporaneo insieme. Recentemente ho scritto che Santa Giulia è un museo noioso, e si sono un po’ offesi. Ma è pieno di pietre, e dopo un po’ non ne puoi più! Se avessi in mano un museo del genere farei delle Sale con delle sorprese».
Per esempio?
«Cadute la barriere tra ieri, oggi e domani, vorrei mescolare. Senza criteri alfabetici o tematici, come questa mostra: se vedi un Paolini che sta vicino a Feldmann o Arienti vicino a Gilardi, e sono diversissimi, è la dimostrazione che le opere d’arte sono il vero ponte per costruire un dialogo tra epoche. Per cui Donatello andrebbe benissimo con Giacometti, Paolini con Canova. Io vedrei un museo così, con tante pietre sì, ma con qualche scatto: un Dan Flavin in una domus, un arazzo del ‘700 vicino a Boetti, un Sol Le Witt accanto a un mosaico romano. Un museo con poche cose, esemplari. Pensa ad una Pinacoteca con una sola opera per sala! Che potenza e che attenzione si avrebbe davanti ai lavori! 
I musei che hanno migliaia di opere fanno arrivare il visitatore come Dorando Pietri alla fine della maratona. Vorrei un museo esemplare, didatticamente diverso, non pesante, ma frontale. Farei un museo che assomigli a questa mostra».

7 Commenti

  1. Sembra quanto mai rappresentativo il citare Ida Gianelli come “collega” senza dire come, ma utile per affermare che se lei ha diretto il Museo d’arte contemporanea Castello di Rivoli, allora va da sé che Massimo Minini potrebbe dirigere il Museo di Santa Giulia di Brescia. C’è un precedente, insomma! Il fatto però è che Gianelli – personaggio importante nel mondo dell’arte anche come curatrice di grandi mostre – non è mai stata gallerista (almeno a leggere la sua biografia) mentre Minini lo è indiscutibilmente. La non sottile differenza, pertanto, starebbe nell’incontro che si attuerebbe tra pubblico e privato. Infine, sorvolando sull’idea alquanto discutibile di un museo “didattico”, ritengo emblematica l’ultima frase dell’intervista: “Farei un museo che assomigli a questa mostra”. Appunto!

  2. Che mostra pallosissima. Che grandi artisti con opere noiose e sterili. In confronto Fornasetti al piano inferiore era vita pura, ossigeno, fantasia. A volte si da un gran valore all’esaltazione della noia e della scarsa fantasia. Se cerco la filosofia, mi rivolgo alla filosofia, nell’arte cerco l’immaginazione..

  3. Anche io ho le mie mosche cocchiere…fastidiosi parassiti che si fanno trasportare dai grossi pachidermi succhiandone il sangue senza fare grandi sforzi. Anche le cocchiere coprono grandi distanze, in autostop ed in vista del traguardo, saltano giú di groppa e corrono avanti gridando:” sono arrivato primo”.

  4. Ida giannelli ha avuto una importantissima galleria a Genova negli anni 1974/1984 circa, di nome SAMANGALLERY, con mostre di LeWitt, Buren, Paolini,Pistoletto, Zaza, Cadere, Rebecca Horn, Fabro…
    Naturalmente non tutti lo sanno, alcuni lo ignorano, niente di male, anche io non so tante cose. so di non sapere…
    Ma almeno sto zitto. Chi ignora, gli ignoranti, appunto, dovrebbero tacere, seguendo il finale consiglio di Wittgenstein.
    Mm

  5. Ma guarda! Ida Giannelli non è mai stata gallerista…buona questa. Comunque capisco, chi è ‘sto Barretta ? La Giannelli è stata cin la sua Samangallery a Genova una delle più importanti gallerie in Italia per un decennio tra i settanta e gli ottanta. Con mostre importanti di quasi tutti i miei artisti: Paolini, Pistoletto, Buren, Lewit, Zaza, Toroni…
    Evidentemente Barretta non conosce. Dovrebbe seguire quindi il consiglio finale di Wittgenstein, invece di riempire
    pagine di inutili considerazioni.
    E, per colmo di sfortuna, Peter Pakesh in Austria, Paul Maenz in Germania, Geert di Art and Project ad Amsterdam sono stati grandi galleristi passati poi ai musei della loro città o città vicine.
    Insomma, questi blog saranno anche un portato della democrazia, ma un po’ di decenza, signori, un po’ di misura, un po’ di silenzio, almeno quando si ignora…

  6. Ehilà, che citazione che vorrebbe essere dotta. Scomodiamo Ludwig Wittgenstein, pensatore dal pensiero impenetrabile, con l’ignoranza dell’ignorante e la massima: “Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. Egregio Minini almeno la dica tutta e si faccia capire da tutti, se no è lei che usa una “prosa” incomprensibile. Ma arriva in ritardo. In altro mio intervento ho scritto che lei avrebbe appunto preferito proprio questo: il tacere. Lasciare che il suo possibile conflitto d’interessi passasse nel silenzio, non venisse rilevato da alcuno. Invece no, quest’ignorante osa parlare e scrivere addirittura, e forse tanto ignorante non è. Sappia allora, ne sono convinto, libertà e democrazia impongono che tutti – e dico tutti – hanno il diritto di dire la loro opinione, sia essa detta in modo semplice o in modo arguto. Lei, ovviamente vorrebbe essere l’arguto, e allora inizi a leggere bene il mio commento. Ho scritto che “non è mai stata gallerista, almeno a leggere la sua biografia”. Le spiego come si fa con i discenti. “Almeno” vuol dire che non lo escludevo del tutto nel curriculum di Gianelli (e non Giannelli, come scrive lei), perché in alcune biografie c’è in altre no se più o meno complete, e comunque è indicata per pochi anni come “direttrice e curatrice”. Ma non perdiamoci in queste quisquilie, visto che resta il fatto che tra il suo curriculum e quello della Gianelli resta l’enorme differenza per stile, per lavoro e per esperienze acquisite, giacché Gianelli è praticamente sempre stata nel mondo curatoriale a livello internazionale e nei musei e nelle istituzioni, mentre lei ha una sola esperienza da mettere in piazza, ed è quella di mercante d’arte. Ecco perché trovavo improprio il paragone che s’era cucito addosso. E non provi ancora a indicare altri “galleristi” direttori di musei per avallare una sua partecipazione a Brescia Musei. Non esiste il confronto. Innanzitutto i nomi che lei indica sono stati per pochi anni galleristi ma poi in quei seri Paesi per accedere a una carica pubblica hanno chiuso la loro attività “commerciale”, mentre non mi risulta che lei abbia chiuso la “Galleria Massimo Minini”. Non solo. Lei va indietro negli anni Settanta e Ottanta, altri tempi e altri modi in Italia per gestire la res publica di cui sappiamo: roba della prima repubblica con tutti gli scandali e i tribunali. Poi è stata varata l’importante legge sulla trasparenza, e poi si è gridato al conflitto d’interesse. Ma forse lei non si è accorto di nulla, intento a vendere quadri.
    “Insomma, questi blog saranno anche un portato della democrazia, ma un po’ di decenza, signori, un po’ di misura, un po’ di silenzio” … sono io a chiederlo a lei, almeno quando si tenta di cambiare la storia in storielle. Come far intendere un grande evento la sua mostra alla Triennale, che dire “pallosa” è dire poco, o che non ci sarebbe conflitto d’interesse in una sua carica pubblica, e “quella” carica!

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