27 gennaio 2014

Parola di curatore Arte Útil e il tentativo di cambiare il mondo

 
Arte Útil e il tentativo di cambiare il mondo

Alessandra Saviotti racconta per Exibart la sua esperienza di lavoro con Tania Bruguera. Artista non facile: «è tempo di ricollocare l’orinatoio di Duchamp al suo posto, nel bagno», afferma, tanto per mettere le cose in chiaro. stavolta alle prese con un progetto

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Quando nel 2010 Charles Esche, direttore del Van Abbemuseum di Eindhoven, ha deciso di invitare Tania Bruguera per una mostra personale, l’artista ha proposto 29 idee diverse. L’episodio può fornire indizi utili sulla personalità di Tania Bruguera, un artivista, come si definisce lei stessa, oppure una performer o ancora un’ artista politica. 
Tuttavia l’idea definitiva non ha tardato a manifestarsi e la volontà di trasformare il museo tradizionale nel “Museo di Arte Útil” (fino al 30 marzo) ha sbaragliato le altre proposte.
Sin dall’inizio il progetto è sembrato una sfida sia nei confronti delle istituzioni coinvolte nella riflessione, sia nei confronti degli artisti e dei ricercatori. Tutti i soggetti sono stati chiamati a mettere in discussione i cardini della loro metodologia di lavoro, a partire dalle stesse definizioni che ne determinano la loro identità. E così, gli artisti sono diventati gli iniziatori, i ricercatori si sono trasformati in attivatori, i progetti artistici sono stati ribattezzati casi studio, i curatori hanno preso il ruolo di compositori e i visitatori sono divenuti gli utilizzatori. Fino ad arrivare a nominare il processo compositivo Social Power Plant, una sorta di centrale che genera energia sociale.
Il concetto di Arte Útil è stato indagato e messo in pratica dall’artista nell’ambito del progetto Immigrant Movement International supportato dal Queens Museum of Art di New York. E proprio in quel museo (che tra le altre cose nel 1981 organizzò una mostra dal titolo Useful Art) il desiderio di connettere tutti gli artisti e i rispettivi progetti in corso in tutto il mondo ha preso vita. Il primo passo verso la mostra finale è stato quello di trasformare il primo piano del Queens Museum in “Arte Útil Lab”, uno spazio di discussione, dove sono stati organizzati laboratori, incontri e seminari intorno all’idea di arte come strumento per cambiare la realtà in cui viviamo e di cui beneficiare.
A mano a mano si è manifestata l’esigenza di tracciare una storia di questa pratica tramite un archivio di casi studio. Passo dopo passo, la tentazione di provare a definire un nuovo movimento è diventata lo scopo intero del lavoro collettivo. E così alla fine del 2012, dopo una serie di riunioni via skype tra i diversi team a New York e in Olanda, sono stati definiti gli otto criteri che definiscono che cosa è Arte Útil. 
La composizione dell’archivio ha tuttora un ruolo fondamentale per il progetto, e il fatto che occupi la sala centrale al Van Abbemuseum è un aspetto non trascurabile. Secondo le parole di Charles Esche, il museo si colloca sempre in un punto definito della storia; si rivolge al passato, ma deve anche guardare al futuro. Come può un museo re-inventarsi e cambiare la sua funzione in un momento di transizione come quello che stiamo vivendo? Come può fronteggiare la crisi non solo economica, ma sociale e culturale globale? Grazie a progetti di ‘rottura’ come questo il museo presenta la sua parte più vulnerabile, ma proprio attraverso un’autocritica di questo tipo, si può provare a definire perché e se, esiste l’urgenza di mantenere le istituzioni culturali. 
Attraverso la composizione dell’archivio quindi, si decide che cosa vale la pena preservare per il futuro, ma anche cosa ricordare. Ecco perché è stato deciso di costituire sia un comitato scientifico internazionale, che potesse intervenire nella ricerca suggerendo artisti e progetti provenienti da tutto il mondo, sia di lanciare un bando pubblico per la sottomissione di progetti. Arte Útil è un movimento che affonda le sue radici nel 20° secolo, ma vuole raccontare che cosa succede nel 21° secolo, perciò deve cercare di utilizzare gli strumenti del nostro tempo, uno su tutti, la rete internet.
La sfida successiva è stata poi quella di dare una forma spaziale ai 213 casi studio selezionati da un totale di 507 che compongono l’archivio. Ma non solo: il nodo più difficile da dipanare è stato quello di far entrare, all’interno dello spazio museale, progetti che succedono nella realtà in scala 1:1 o che costituiscono azioni che producono benefici concreti a chi ne usufruisce. 
Ancora una volta tutti i soggetti si sono messi in discussione, a partire dallo spazio stesso. Quello che abbiamo è quello che vogliamo veramente? È possibile scardinare l’idea di white cube e quella di contemplazione classica che avviene all’interno del museo?
Il museo di Arte Útil è un tentativo di riformare l’idea modernista di museo: ogni sala, ogni oggetto presentato, qualsiasi cosa all’interno del museo deve diventare utile e produrre un beneficio tangibile a chi decide di utilizzarla.
Lo scopo non è quello di creare la mostra più popolare, ma quella in cui la gente trascorre più tempo, per cui l’ingresso è libero per chi decide di diventare user.
La scenografia dello spazio è stata progettata da Construct Lab, un collettivo che comprende designers, architetti, sociologi, artisti e grafici, che ha letteralmente trasformato il white cube costruendo una struttura circolare continua, che taglia le dieci stanze del museo e che connette l’interno con l’esterno. La connessione con la città non è stata solamente simbolica, infatti nel team sono stati invitati alcuni studenti della Design Academy di Eindhoven e sono stati coinvolti attivamente i volontari che prestano servizio al museo.  Durante le due settimane di costruzione della struttura, che è avvenuta direttamente negli spazi della mostra, tutti i membri del team, i curatori, qualche artista venuto per installare il lavoro, i designers, gli studenti e anche qualche giornalista, hanno utilizzato quegli spazi come ufficio, come cucina e come luogo di lavoro, cercando di implementare sin da subito l’idea di Arte Útil.
Finalmente il 7 dicembre 2013, è arrivato il momento dell’inaugurazione che ha segnato l’inizio della fase successiva del progetto, ovvero la sua attivazione. Sì perché questo museo non funziona senza i suoi utilizzatori. L’archivio deve essere nutrito di nuovi casi studio, le proposte degli artisti devono essere colte e utilizzate, gli spazi e le stanze devono essere riempite di persone e proposte concrete da implementare nella città e altrove, ovunque ci sia il bisogno dello strumento arte per cambiare le cose.
La strada verso il museo 3.0, come lo definisce Stephen Wright, è lunga e accidentata ma è quella che permette di trasformare lo spettatore in utilizzatore e che permette di prendere distanze dal concetto di consumatore. L’utilizzo del museo, infatti, produce nuovo valore, un surplus che deve poi essere ridistribuito nella comunità. Uno dei lavori in mostra, l’Honest Shop organizzato da Grizedale Arts, può essere considerato l’esempio che spiega questo spostamento di ruoli e significati all’interno del museo. L’Honest Shop è un vero e proprio negozio che vende prodotti locali e fatti in casa a livello amatoriale. Non è presente staff e il tutto si basa sulla fiducia che il cliente ripone nel produttore e vice versa: il pagamento avviene inserendo l’esatto importo riportato sull’etichetta nella cassa, registrando nel libro clienti l’acquisto. Questo fa sì che il museo diventi una sorta di catalizzatore per lo sviluppo di una microeconomia locale, fatta di persone che utilizzano i loro hobbies. Il processo genera un valore sia sociale che economico, poiché i proventi sono ridistribuiti per l’80% ai produttori e per il 20% al museo, che reinveste nel programma pubblico legato alla mostra.
Gli artisti invitati a presentare il loro lavoro all’interno del museo di Arte Útil sono 48, alcuni di loro presentano più di un progetto, come ad esempio il collettivo austriaco WockenKlausur, e altrettanti workshops, dibattiti e presentazioni animano il museo ogni settimana. Il Museo di Arte Útil suggerisce una nuova possibilità verso il museo del futuro, che cosa succederà dopo?
Per concludere con le parole di Tania Bruguera, Arte Útil non è arte neo-liberale e non è estetica relazionale. Arte Útil è un’utopia concreta, è un modo per modellare il futuro anche attraverso azioni di disobbedienza civile. Arte Útil tenta di accorciare la distanza tra l’arte contemporanea e il pubblico non specializzato. 
Ci sono due tipologie di persone: quelle che tentano di cambiare il mondo prendendosene gioco, e quelli che si divertono nel tentativo di cambiarlo.
www.museumarteutil.net

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