23 aprile 2014

L’altra metà dell’arte

 
di Manuela Valentini

La nostra rubrica prosegue con un’intervista a Rossana Miele, responsabile delle residenze d’artista al MACRO e producer

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Quale il tuo percorso formativo?
«Volendo partire dagli studi universitari (laurea vecchio ordinamento in lettere moderne indirizzo storico-artistico presso la Federico II di Napoli), sono stati molto importanti i corsi seguiti a Parigi da Erasmus (avevo 23 anni allora) che si sono poi conclusi in una tesi di ricerca sul libro d’artista surrealista, focalizzata in particolare sulla produzione di Max Ernst e Toyen. La città stessa, come del resto tutte le altre città in cui mi sono trovata a fare esperienze professionali, mi ha molto segnata. Le biblioteche, le librerie, i musei, i cinema, i teatri, ma anche le strade le piazze, i club. Ci sono persone importanti che ho incontrato anche casualmente, e che hanno influito sul mio percorso. E poi gli stage. In uno stage, per esempio, ho conosciuto Giorgio Andreotta Calò, artista che stimo molto e che tutt’oggi è un caro amico (si trattava della Biennale des jeunes créateurs de l’Europe et de la Méditerranée a Napoli). Poi certamente lo stage al Dipartimento curatoriale del Castello di Rivoli, sotto la direzione di Carolyn Christov-Bakargiev. È stato durante quello stage che ho maturato la decisione di lavorare a diretto contatto con gli artisti. È dagli artisti che continuo ad imparare anche oggi. Anche della mia collaborazione con la Galleria T293 (quando aveva sede solo a Napoli), ricordo come particolarmente significativi i momenti di scambio con gli artisti della galleria; lì ho davvero imparato cosa vuol dire confrontarsi con un artista. Senza voler essere banali, direi che l’esperienza formativa è costante; che ricerca e pratica vanno sempre insieme, per esempio sto seguendo attualmente (da libera frequentatrice nella pubblica università) l’intenso corso tenuto da Stefano Chiodi a Roma 3 su ‘Arte e Politica’ e sto facendo ricerca sul tema delle residenze d’artista a Roma, a partire dall’istituzione del Prix de Rome del 1666».
Tralasciamo le infelici vicissitudini attuali del Macro e parliamo al passato. Nonostante tu oggi sia in aspettativa, lì hai lavorato in qualità di responsabile delle residenze d’artista. Che impronta hai voluto dare al progetto? 
«Non tralasciandole, evolvendo piuttosto parlare del presente: al di là della mia posizione contrattuale e di quella dei miei colleghi, quasi risolta, le crisi che istituzioni come il Macro sono costrette a vivere ne inficiano inevitabilmente il senso stesso del progetto. Indipendentemente dalla gestione e dalla direzione artistica, è molto dannoso quando questi luoghi sono strumentalizzati, anziché divenire strumento, quando diventano autoreferenziali, anziché offrire prospettive. Un programma di residenze per artisti italiani e non italiani al Macro, museo pubblico della città di Roma e dipendente dalla sovraintendenza capitolina, non è per niente scontato, soprattutto in una città dove le residenze hanno una storia antica e gli artisti possono per fortuna avvalersi di ottimi budget messi a disposizione dalle Accademie straniere. L’impostazione data dall’allora direttore Bartolomeo Pietromarchi – che le ha ideate nel 2012 – sposando la visione dell’architetto Odile Decq che ha previsto due appositi appartamenti all’interno del museo, è di trasformare una piccola parte degli spazi  museali in quattro studi d’artista da assegnare per quattro mesi attraverso un bando pubblico. Il programma (è in corso il V ciclo) prevede oltre alla mostra finale, allestita negli stessi studi, una serie di attività e eventi collaterali. Generalmente con ciascun artista lavoro all’organizzazione di un talk e alla realizzazione di un laboratorio, in collaborazione con la didattica del museo. Un momento importante è rappresentato dall’open studio (un tempo chiamato studio in progress) – a metà del periodo di residenza – un’occasione per entrare in contatto con gli artisti e uno stimolo/invito a relazionarsi attivamente con le opere d’arte e ai processi di creazione dell’opera stessa».    

                               

Le residenze sono anche occasione di contatti con altre istituzioni?
«Sì, si caratterizzano proprio per le numerose collaborazioni con gli istituti italiani e stranieri: per due anni consecutivi lo IED ha affidato a un gruppo di studenti le tesi di laurea in video-design e in fotografia sulle residenze al Macro; con la Rhode Island School è nato un fertile rapporto di scambio (che speriamo possa proseguire) che ha visto i giovani studenti americani aiutare e collaborare con gli artisti in residenza e questi ultimi partecipare al loro importante programma di critics. Un’altra specificità è data dal fatto che ciascun artista è libero di presentare progetti collaterali indipendentemente o meno dalla mostra finale: questo è stato il caso del cineforum curato da Giovanni Giaretta sul rapporto fra arte e sport, del festival “Helicotrema” curato da Blauer Hase, collettivo di cui fa parte Riccardo Giacconi, dell’appuntamento di cinema d’ascolto presentato da Jacopo Miliani e Dario Argento e (se tutto si sistema) del progetto “Selador “di Anna Franceschini. Il tentativo è di creare dei luoghi vitali, in stretta collaborazione con gli artisti che devono essere facilitati durante tutto il loro percorso».
Ma prima di ricoprire questo ruolo al Museo d’Arte Contemporanea di Roma, a cosa ti sei dedicata? 
«Agli artisti! In quest’ultimo anno mi è capitato di dover strutturare alcuni interventi durante corsi e master e quindi di formalizzare in maniera più specifica il mio profilo professionale che si colloca fra l’artista e il suo committente (che sia un’istituzione, una galleria, un collezionista e anche un curatore); credo infatti che, nonostante la sua ineluttabile autorialità, l’artista non sia l’unico soggetto della creazione. L’obiettivo è quindi di entrare nel processo di creazione stesso, affiancando e facilitando l’artista nella realizzazione e produzione del lavoro, seguendolo passo per passo, a partire da un condiviso e aperto dibattito attorno all’idea e alla ricerca da sviluppare, fino a curarne gli aspetti più organizzativi ed esecutivi. Prima del MACRO stavo lavorando con Rossella Biscotti (e continuo a farlo quando è possibile) in particolare sul lavoro “Il Processo/The Trial”, per il quale ho seguito sia la ricerca attraverso archivi, biblioteche e testimonianze dirette, sia la parte organizzativa e logistica che ci ha permesso di entrare nell’allora abbandonata aula bunker del Foro Italico di Roma, di occuparla con quintali di cemento per la realizzazione delle sculture e riattivandola per un giorno intero con una performance. L’aspetto performativo, infatti, è utilizzato dall’artista per contestualizzare il lavoro nelle differenti mostre ed io continuo a seguirne le diverse tappe, come avvenuto per l’ultima realizzata a New York presso e-flux. In questo caso il mio apporto è stato relazionale oltre che di ricerca e organizzativo: un gruppo di una quindicina di persone composto da ricercatori, professori, militanti e artisti, vicini e interessati alle modalità e tematiche de “Il Processo” ha partecipato alla performance, traducendo e interpretando dal vivo parti dell’installazione sonora che compone l’opera. Un’altra forte e interessante esperienza è avvenuta con gli artisti Libia Casto & Olafur Olafsson, incontrati a Napoli durante un programma di residenza curato da Patricia Pulles, dove hanno realizzato la scultura sonora Exorcising Ancient Ghosts che diffonde l’interpretazione spontanea di due coppie che mentre fanno sesso recitano estratti tratti da testi greci sui diritti delle donne e degli stranieri rinvenuti grazie alla collaborazione del Dipartimento di storia e letteratura greca e quello di Studi di genere della Federico II. L’ opera è stata esposta al Padiglione Islandese della Biennale di Venezia nel 2011, luogo che ha dato vita anche alla collaborazione per la produzione esecutiva della performance e video Your Country doesn’t Exist».
Pensi che in Italia le istituzioni private facciano abbastanza per colmare le frequenti lacune dello Stato in termini di sostegno alle risorse culturali?  
«In base alla mia esperienza posso affermare che sia gallerie che collezionisti sono impegnati in Italia per controbilanciare la scarsità dei fondi pubblici dedicati alla cultura. Ad esempio, per il programma artisti in residenza un incisivo sostegno è venuto dall’associazione MACROamici che ha acquisito i lavori di tre artisti donandoli al museo, e anche, il contributo di ZegnaArt, nell’ambito del progetto “Public”, che ha finanziato la residenza dell’artista indiano Sahej Rahal (la partnership con il MACRO è triennale e anche in questo caso spero che la collaborazione possa continuare). Allo stesso tempo mi sembra importante fare riferimento ad altre modalità di finanziamento come il crowdfunding e piattaforme come Kickstarter che coinvolgono e abilitano l’individuo e il cittadino a sostenere e a partecipare nei processi culturali. Un caso da menzionare in Italia è anche quello del teatro Valle che tenta di proporre un’alternativa alla privatizzazione per rispondere alla perenne crisi finanziaria del settore culturale».

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