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Ma siamo solo noi a notare certe cose? Per esempio:
1) il logo di Expo 2015 e il logo di “Fundamentals” XIV Biennale d’Architettura hanno gli stessi colori gli stessi retini e si evocano a vicenda. Un caso?
Primo corollario: fatto sta che in stile da giorno del giudizio, il giorno dell’inizio delle danze, tremano i polsi a chiunque abbia a che fare con opere pubbliche in Veneto. I twitter di informazione locale e i blog aprono al mattino dicendo così: Orsoni arrestato, altri trentadue mandati di arresto, vi terremo aggiornati su twitter. Erano le sei del mattino del 4 giugno, quanto tutto il mondo dell’architettura che conta era ormeggiato in Canal Grande, pronto per la festa di Prada con la mostra magistrale e felice, dopo quella perfetta e funebre di Celant alla Fondazione Prada
Secondo corollario: su tutti i siti si rincorre l’osanna a Celant e l’indignazione per Celant, curatore degli eventi artistici per expo 2015
2) Misteriosamente l’Italia sembra ridursi a Milano dentro le mura per Cino Zucchi nella biennale che si dichiara ideologicamente global
3) “Fundamentals” o il delirio dell’archivio: Rem Koolhaas dà il premio alla proprietaria dell’archivio di architettura più importante del mondo, i padiglioni sono archivi di disegni tecnici, le questioni più scabrose di “Fundamentals” alla fine rimangono sullo sfondo, ovvero il passaggio dalla società disciplinare a quella del controllo, che Koolhaas aveva esplorato nei fotomontaggi degli anni Settanta (Rem Koolhaas durante la conferenza stampa di presentazione ha detto: «egalité, fraternité” (qual era l’altra?) sono state rimpiazzate da sostenibilità, sicurezza, controllo» (ah, già, l’altro era la libertà, e dove è la libertà?) e l’altra questione del neocolonialismo rimane pallida e fuori fuoco. Dell’ambiguità della modernità parla solo il Padiglione Francese, l’unico veramente a fuoco di tutta la Biennale.
Conclusione:
Come mai non ci sono ipotesi esplicitate per Milano del dopo Expo, la Milano di fuori dalle mura? Tutte piste ciclabili?