18 giugno 2014

L’intervista/Bruno Corà Come fare un nuovo museo. Privato e al Sud

 
La collezione del Camusac, iniziata venti anni fa dalla famiglia Longo, inizialmente era esclusivamente di scultura. Poi si è arricchita di altre opere, fino a diventare una raccolta da museo. Ma che mantiene i suoi tratti di originalità. Non solo il segno personale, ma anche nella scelta degli spazi ex industriali di proprietà della famiglia. Ci racconta tutto il curatore Bruno Corà

di

Hidetoshi Nagasawa, Andromeda, 2014, legno e ferro, 300 x 1000 x 1000 cm

Dopo la personale al Macro di Roma e due interventi site-specific in Puglia (Torrione Passari e a Novoli con la Fòcara), Hidetoshi Nagasawa si relaziona con gli spazi un tempo adibiti all’attività industriale della famiglia Longo e ora trasformati nel Camusac Museo Arte Contemporanea di Cassino, grazie a semplici ma efficaci interventi architettonici. L’artefice di questo interessante progetto museale è Bruno Corà, direttore artistico e curatore delle mostre concepite all’interno dei grandi spazi di Cassino. Le mostre inaugurate al Camusac: Caos vacilla di Nagasawa, Imusmis 2 di Brunella Longo e Opere della collezione permanente /2; saranno visitabili fino al 28 settembre. Ma qui, intanto, Corà ci racconta il progetto, le prospettive e le sue scelte. 
Prima di arrivare al Camusac, pensavo di trovare tre mostre diverse allestite in uno spazio museale. Appena arrivata sono rimasta sorpresa dal contesto esterno e dagli ambienti espositivi interni. Una nuova realtà museale che ho trovato con caratteri e sfumature diversi rispetto allo standard di museo o fondazione. Qual è la tua opinione?  
«Intanto spero ti abbia colpito in modo favorevole. In effetti, a livello comunicativo abbiamo voluto distinguere questi tre eventi per creare più movimento ed incuriosire il pubblico. Possiamo dire che la personale di Nagasawa  è la mostra principale attorno alla quale ruotano e si mescolano la seconda parte della collezione e la personale di Brunella Longo».
Bruno Corà, Sergio Longo, Hidetoshi Nagasawa
In Italia siamo abituati a pensare al museo come un luogo pubblico con altre caratteristiche, e questo spazio mi destabilizza in un certo senso. Come possiamo comprendere questa operazione?
«Ma in tale vicenda si cela sicuramente un fenomeno pioneristico, nel senso che qui, essendo stato seminato molto negli anni scorsi, con una grande volontà di far arrivare l’arte contemporanea – difficilmente in sintonia con le amministrazioni locali che mutano sempre per diverse questioni politiche, e non hanno questa urgenza – è nata da parte del privato la forte necessità di “concretizzare” la volontà di fondare uno spazio adibito a mostre e alla collezione, dunque di creare una sede di tipo museale secondo le norme ICOM: la presenza di una collezione, uno spazio permanente, e un servizio offerto al pubblico. Il Museo della famiglia Longo può utilizzare in pieno questa nomenclatura, trattandosi di un museo privato e dichiarato. Un museo che vuole stabilire rapporti con le forze culturali del territorio, l’Università, ed anche con le amministrazioni locali, per creare nuove attività e sinergie».
Hidetoshi Nagasawa- Paravento
Ma la consuetudine vuole che i musei in Italia siano pubblici, con una apertura giornaliera e ci sia un biglietto di ingresso. Qui invece siamo di fronte ad un museo completamente privato, gratuito ma con delle restrizioni nelle aperture, solo il fine settimana o su appuntamento. Come mai?
«Il fatto di far pagare un biglietto avrebbe innescato immediatamente questioni fiscali che alla famiglia Longo non interessavano, essendo unica finanziatrice dell’intero progetto, senza aiuti esterni, senza contributi pubblici, ne tanto meno sponsor. Non c’è guadagno e soprattutto si tratta di un modo per invogliare il pubblico a venire, in un posto decentrato rispetto ai soliti luoghi adibiti all’arte contemporanea. Ma non disdegniamo un supporto, anzi vorremmo un aiuto dalle amministrazioni pubbliche che potrebbero fornirci per esempio piccoli contributi logistici, un custode, del personale per poter allargare gli orari e le aperture. Ma questo non avviene ancora».
Parliamo quindi di un azzardo artistico-culturale?
«Si lo è, purtroppo le cose avvengono se tu rompi gli schemi, mi rendo conto che si tratta di un fatto pioneristico e che il pubblico vuole ancora studiarlo. C’è una specie di reticenza ancora prima di abbracciare la causa, anche se questa famiglia vive e lavora qui da quaranta anni. Comunque, i primissimi riscontri si vedono: di recente l’Università ha fatto una convenzione per portare i suoi allievi e fare delle lezioni o seminari all’interno del museo. C’è un consorzio della pietra ad Ausonia Coreno, qui vicino, sono industriali che cavano, hanno partecipato alla realizzazione di alcune opere di Nagasawa fornendo la pietra di Coreno, per le opere “Pozzo nel cielo” e “Groviglio di quanta”. Da cosa nasce cosa, se non parti, e non ti metti per strada, non succede niente!».

CaMusAC, vista della mostra, 2014

Parlando della collezione, c’è un nucleo di opere che sembra seguire una precisa linea artistica, nonché  scelte affini, e un altro nucleo che sembra nato più dal caso o da circostanze eterogenee. C’è stato in alcuni momenti un tuo intervento nel direzionare le scelte della collezione e questo intervento è stato a volte discontinuo?
«In parte sì, ho iniziato la collezione del Camusac dei Longo almeno venti anni fa, ed era una collezione esclusivamente di scultura, che nasce agli inizi degli anni Novanta, quando insegnavo all’Università di Cassino e venivo da Perugia. Successivamente sono andato via, a Firenze, e la collezione ha subito diverse fasi. La fase di partenza è caratterizzata da una collezione di scultura all’aperto, strettamente inerente all’habitat della famiglia, proprio nella zona dov’è la grande scultura di Sol LeWitt in legno. Lì nascono le prime opere che vengono collocate come decoro dell’abitazione, e altre all’interno, come ad esempio un Castellani e un Kounellis. In seguito, acquisiamo Pistoletto, Cabrita Reis, Nunzio, in modo tale da condensare un primo nucleo. Io nel frattempo a Cassino, oltre ad insegnare, faccio dei seminari e organizzo dei convegni, con interventi di studiosi anche internazionali, da Dorfles e Trini a Thierry Dufrêne. Proprio la collezione Longo fornisce agli studenti un campo immediato d’approfondimento e di verifica in riferimento all’attività dell’Università e agli eventi scientifici. Io sono andato via ed è cambiato molto anche l’Ateneo di Cassino, non c’è più la cattedra di Arte Contemporanea. E sono cambiati anche le modalità di articolazione della collezione Longo. La famiglia ha iniziato a fare delle scelte legate al proprio gusto e alle proprie esperienze, iniziando a collezionare attraverso viaggi, fiere, rapporti con galleristi, ecc. Questo spiega il carattere “aperto” del secondo nucleo di opere a cui fai riferimento. Se inizialmente esisteva una traccia riconducibile al mio intervento, in seguito nasce una curiosità molto più ampia, a 360 gradi, che la famiglia ha soddisfatto come meglio credeva».
CaMusAC, vista della mostra, 2014
E poi come si è arrivati all’ambizioso progetto museale di oggi?
«Nel frattempo mi sono dovuto occupare del museo Pecci di Prato, del museo di La Spezia, poi Carrara, Lugano, e viaggiare per alcuni anni fuori dall’Italia. Ma ad un certo punto Sergio e Maria Longo mi hanno richiamato e mi hanno detto di sentirsi pronti a creare qualcosa di più stabile, partendo dalla trasformazione dei loro opifici-magazzini industriali in un luogo che potesse ospitare la loro collezione. Qui nasce il progetto di un vero e proprio centro culturale, una fondazione. Tuttavia, suggerisco alla famiglia Longo, di realizzare un vero e proprio museo. Essendoci una collezione dico, ci può essere anche un museo». 
Tutte le opere di Nagasawa in mostra sono state prodotte da voi? Alcune di queste faranno parte della collezione Longo? 
«Sì, assolutamente tutte prodotte qui. Credo e ho motivo di dichiararlo che ci sia un accordo tra Sergio Longo e Nagasawa perché una o due delle opere della mostra restino nella collezione. Queste verranno collocate all’esterno».
Da un punto di vista espositivo, la collezione entra molto in relazione con la mostra di Nagasawa. Mentre la personale di Brunella Longo, attraverso delle pareti architettoniche, ha un respiro più circoscritto. È  una scelta curatoriale?
«Certo, le tre mostre si mescolano. Quella di Brunella ha uno spazio un po’ più unitario, una piccola zona, un’area più intima dove prima c’è stata una mostra dedicata a Fernando Melani. Una sorta di area tematica del museo».
Brunella Longo - Fragola - 2006 - lightboxes - cm 126x126
Per te, la scelta di Brunella Longo è stata una difficile o facile?
«Difficile, sicuramente a causa della “implicazione” familiare, ma anche in questo caso ho voluto superare qualsiasi condizionamento di carattere psicologico. Il buon gusto avrebbe suggerito di non farla, abbiamo anche avuto un confronto su questa questione. Ma con altrettanta serenità e tranquillità, ho valutato il lavoro e ho pensato che era anche altrettanto antipatico penalizzare un valido lavoro di una persona che è qui da molto, che lavora ed è presente nel territorio. L’intenzione è di dare spazio ad artisti che lavorano in questo senso. E Brunella lavora da diversi anni, ha iniziato come fotografa, maturando molto la sua pratica artistica nel corso del tempo. Anche a livello curatoriale, la diversità tra la scultura di Nagasawa, la collezione e il lavoro fotografico di Brunella, costituisce un progetto articolato».
Come scegli gli artisti? In base ai rapporti che hai maturato nel tempo o prediligi scelte rispetto al luogo espositivo? Lo spazio può condizionare la scelta?
«Prima di tutto, effettivamente ci si basa molto sul proprio patrimonio di relazioni, di rapporti e di interessi. Abbiamo però, devo essere franco, privilegiato inizialmente artisti e opere che avessero una certa importanza e risonanza, per far si che anche il museo fosse conosciuto nel breve tempo possibile. Di qui la prima mostra di Castellani e la scelta di Nagasawa. Magari seguiremo questa rotta ancora per un po’, forse con una mostra di Kounellis, facendo però ulteriori progetti multidisciplinari e proponendo giovani artisti. Se da una parte c’è il consolidamento di alcuni valori riconosciuti, anche dal punto di vista del linguaggio artistico, ancora attivi e propositivi sul campo, dall’altra vi sono le tendenze e le aperture su novità, dando particolare attenzione ad artisti molto bravi che lavorano sul territorio. Un’attività sicuramente dinamica volta a far partecipare ed incuriosire più gente».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui