04 luglio 2014

Lorcan O’Neill/L’intervista Io, la mia idea di galleria e soprattutto Roma

 
In 11 anni, Lorcan O’Neill non ha cambiato idea. “Volevo e voglio una galleria che può esistere solo a Roma”. Non un White Cube, quindi, ma uno spazio storico. E quello che ha aperto ieri è bellissimo. Anche se lavorare nella Capitale è dura, dai provvedimenti del governo fino a quelli del sindaco. Non da scoraggiare nuovi investimenti, però. E il sogno di far conoscere i bravi artisti italiani all’estero. Non da morti, ma da vivi!

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Galleria Lorcan O'Neill Roma - Cortile
Irlandese di nascita, per anni London based con il gallerista Anthony D’Offay e poi romano per passione, Lorcan O’Neill (per tutti a Roma semplicemente “Lorcan”) undici anni fa ha aperto una galleria nella Capitale, dando un tocco di internazionalità alla città. Richard Long, Jeff Wall, Anselm Kiefer, Kiki Smith, Tracey Emin e Gary Hume, sono alcuni dei suoi artisti di peso, molti dei quali hanno esposto con lui in Italia per la prima volta. Ma a Trastevere, art district dove fino ad oggi si trovava la sede principale della galleria, la Lorcan O’Neill ha presentato anche artisti più giovani come Eddie Peake, Prem Sahib, Celia Hempton e Hanna Liden, insieme agli italiani Luigi Ontani, Masbedo, Francesco Clemente, Pietro Ruffo e Manfredi Beninati.
Oggi Lorcan cambia casa, con una grande mostra dove di scena sono Enrico Castellani, Richard Long e Jeff Wall e una grande festa. La nuova sede è nel centralissimo vicolo dei Catinari, presso la corte e le scuderie di Palazzo Santacroce. Un gioiello rinascimentale dotato di un cortile stupendo, una grande terrazza e con pareti alte fino a 8 metri. Il tutto per 500 mq di spazio interno diviso in due gallerie, tre viewing rooms, oltre agli uffici e al magazzino. Abbiamo intervistato Lorcan per farci raccontare questa nuova avventura romana.
CASTELLANI, LONG, WALL, Installation view - Luglio 2014 - Galleria Lorcan O'Neill
La prima domanda è obbligata: perché aprire un nuovo spazio espositivo proprio a Roma?
«In realtà sono due domande. Una è “perché Roma” e l’altra “perché un nuovo spazio espositivo”. Sono arrivato a Roma più di dieci anni fa con l’dea di aprire una galleria insieme a Mario Codognato, abbiamo trovato lo spazio, ma lui ha preferito seguire la sua carriera di curatore museale per cui sono rimasto solo e nel 2003 è nata la Lorcan O’Neill nella sua sede di Trastevere. Dopo aver studiato negli Stati Uniti e in Canada e dopo aver vissuto a Londra per molti anni, mi sentivo pronto a una nuova avventura con cui inaugurare i miei quarant’anni, e Roma poteva rappresentare quella giusta. Ho iniziato pensando “vediamo che succede”».
E poi che è successo, tanto da portarla ad aprire un nuovo spazio?
«La necessità di un nuovo spazio espositivo invece ha diverse radici. Innanzitutto di spazio, stavamo stretti a Trastevere e rimanere lì avrebbe significato rinunciare a crescere. La zona è cambiata molto negli ultimi dieci anni e non c’è più quel fermento artistico di quando abbiamo aperto. Allora avevamo il collezionista Giorgio Franchetti alla fine della strada, la Galleria SALES, lo studio di diversi artisti tra cui Sandro Chia, si sentiva ancora il profumo di un’attività artistica genuina. Piano piano tutto questo è scomparso ed è diventato addirittura difficile raggiungere la galleria per questioni “urbanistiche”, in più anche per chi lavora e frequenta la galleria, dai dipendenti agli artisti fino ai collezionisti, cambiare ambiente è importante mentre rimanere sempre nello stesso spazio rischia di annoiare. Ci siamo indirizzati quindi verso uno spazio più grande e che ci consentisse di essere più flessibili, uno spazio più centrale e facilmente raggiungibile da chi viene da fuori Roma e che fosse a livello strada. In più non volevo che la nuova galleria somigliasse a qualunque altra galleria di Berlino o di New York, non cercavo il solito “cubo bianco” ma un posto che potesse esistere solo a Roma». 
Galleria Lorcan O'Neill Roma - Main gallery

Roma però è una città difficile, in un Paese che sembra fare il possibile per ostacolare le iniziative culturali e il mercato dell’arte, ad esempio con un’IVA molto alta rispetto ad altri Paesi. 
«In Italia il governo rende difficile tutto. Non credo tragga grossi guadagni dal mercato dell’arte per cui trovo che l’IVA non abbia senso, visto che non rappresenta comunque un’entrata sostanziale per lo Stato. Inoltre è drammatico che con una politica come questa giovani artisti e giovani galleristi siano costretti ad andarsene dall’Italia, in pratica mandati via dal loro stesso governo. Un esempio lampante di questo approccio è la chiusura di via dei Fori Imperiali, amputare un’arteria di cui i cittadini hanno bisogno a favore di turisti a cui non serve e per farci cosa poi? Montarci un maxischermo per proiettare i mondiali. L’ho trovato volgare». 
Tuttavia questo panorama non l’ha scoraggiata. Questo lascia presumere che, nonostante tutto, ci sia un mercato ancora florido e collezionisti interessati. Che , insomma, si muova qualcosa dietro la crisi.
«Alla mia età ci si lascia molto guidare dal proprio istinto e dalla propria attitudine. Io a Roma mi sento a mio agio. Certo, il mercato è cambiato e qualunque galleria ne risente, ma gli italiani hanno l’amore per l’arte nel sangue. I collezionisti ci sono e qui sono anche più discreti, più attenti nelle loro ricerche, sono in anticipo con i tempi. L’arte per un italiano è come il cibo, un piacere irrinunciabile».
Entrata a Vicolo dei Catinari 3 - Galleria Lorcan O'Neill Roma
Immagino che aprire un nuovo spazio significhi anche avere in progetto di ampliare il proprio parco artisti.
«Assolutamente sì. Prima non abbiamo potuto coinvolgere alcuni artisti con cui avremmo voluto collaborare perché lo spazio era troppo piccolo e forse anche troppo modesto, ma ora è diverso. Già per la mostra inaugurale, per esempio, abbiamo potuto contattare Enrico Castellani, che io reputo un grandissimo artista, e dare alle sue opere il giusto valore e il giusto respiro affiancandole a quelle di Richard Long e Jeff Wall (Richard Long e Jeff Wall sono stati anche i primi artisti in mostra alla Lorcan O’Neill di Trastevere. E tornano per inaugurare la nuova sede, come di buon auspicio ndr). Nello spazio vecchio invece c’è l’intenzione di aprire ad artisti più giovani. A settembre ospiteremo le opere di due artisti emergenti siciliani, Giuseppe Buzzotta e Vincenzo Schillaci, originari di Palermo. Inoltre, vorremmo collaborare con delle case editrici e organizzare anche presentazioni di libri o una sorta di fiera della piccola editoria».
Tra i vostri artisti ci sono più stranieri che italiani, pensate che la proporzione rimarrà la stessa?
«No, stiamo invertendo la nostra filosofia da questo punto di vista. Quando abbiamo aperto dieci anni fa la nostra missione come galleria era quella di portare in Italia artisti stranieri e mostrare qualcosa di inedito. Oggi il nostro impegno invece è quello di portare all’estero bravi artisti italiani. A Basilea, ad esempio, abbiamo portato solo ed esclusivamente Ontani che ha riscosso moltissimo interesse. Purtroppo sembra che Oltralpe gli artisti italiani siano destinati alla fama solo da morti, vorremmo invece che si apprezzassero quelli viventi». 
TRACEY EMIN, You Saved Me
Proprio ieri su Repubblica è uscito un articolo piuttosto critico sul mondo dell’arte contemporanea, anche alla luce della vendita a 2 milioni e mezzo di sterline di The bed di Tracey Amin, una vostra artista. L’articolo riporta anche una frase di Matthew Carey Williams, direttore della galleria White Cube, che paragona  il mercato dell’arte a quello della droga e della prostituzione, fiorente e incontrollato. Cosa ne pensa di questa affermazione?
«Beh, intanto l’arte non fa male. Però, se devo trovare un minimo comun denominatore, è innegabile che anche in essa ci sia una sorta di dipendenza. Che sia fiorente è vero, le cose sono cambiate drasticamente. Quando ero giovane l’arte era il cugino povero rispetto ad altri settori tra cui il cinema, la moda, addirittura la letteratura. Ora i miei amici scrittori si stupiscono dello sfarzo di un vernissage in confronto alle presentazioni dei loro libri, dove un po’ di vino scadente in un bicchiere di plastica sembra già un lusso. Questo credo sia accaduto grazie a internet, al fatto che lentamente ogni città ha visto sorgere un museo d’arte contemporanea e sicuramente alla crescita economica e intellettuale della middle class. C’è una maggiore consapevolezza. Per quanto riguarda i prezzi delle opere c’è un altro fattore da considerare. Oggi i ricchi, sono strepitosamente ricchi e se vogliono una certa opera non fanno caso alla spesa. Non so chi abbia comprato The Bed, ma la polemica scaturisce solo perché dei 2 milioni e mezzo di sterline spesi per un’opera d’arte i media ne parlano. La stessa persona però probabilmente ne ha spesi 35 per uno yacht che userà tre volte, e se se ne parlasse lo si troverebbe altrettanto ridicolo. È gente che non ha bisogno di capire quanto sta spendendo. Uno dei miei collezionisti è un ragazzo californiano, che ha sviluppato un’app di successo, non riesce neanche a quantificare quanti soldi ha, per lui sono come quelli del monopoli. Con lo sviluppo di alcuni Paesi come la Cina o la Russia si stanno delineando i profili di collezionisti ancora diversi, ma spesso è la loro ricchezza a fare i prezzi delle opere».
JEBILA WOLFE-OKONGWU, River Crossing
Non tutti i collezionisti sono necessariamente amanti dell’arte, per alcuni un’opera è semplicemente un investimento. Giusto?
«Non è così facile, bisogna essere veramente lungimiranti per fare affari con l’arte. Alla fine chi cerca un investimento va sul sicuro. Da studente, negli anni ‘80, ho lavorato presso una collezionista che collezionava solo disegni su carta, ma aveva quattro tele di Picasso, da lasciare in eredità ai nipoti. Quelle quattro tele erano una certezza, ma aveva scelto Picasso non Jeff Koons».
Oggi sappiamo che forse avrebbe fatto meglio a scegliere Koons. 
«Sì, ma all’epoca non si sapeva». 

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