16 luglio 2014

Un nuovo (e buono) ministero della Cultura Ovvero: come fare le nozze con i fichi secchi

 
Parte la Riforma del MiBACT pensata da Dario Franceschini. Con alcune buone novità e qualche cambiamento radicale. Tanto da guadagnarsi già alcune critiche. Ma a noi nel complesso piace. Anche se presenta alcune incongruenze. Il punto è che è una riforma da spending review. Da vacche magre, insomma. Con la quale è difficile rilanciare i Beni Culturali, come invece sembra voler fare Franceschini

di

Dario Franceschini

«Quando si fanno delle riforme, in genere spuntano i lobbisti: “mi dai questo; attento a non dimenticare quell’altro, eccetera. Da noi, In Italia, il lobbismo funziona al contrario: “non toccare questo; mi raccomando non intervenire su quest’altro”». Basterebbero queste poche parole per esprimere il percorso, molto in salita, della riforma del MiBACT che il ministro Dario Franceschini ha presentato ieri mattina al Collegio Romano, sede del Ministero per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo da lui presieduto. 
In un Paese tendenzialmente conservatore come il nostro, che spesso riesce a dribblare il “nuovo” con bizantinismi vari, toccare un Sancta Sanctorum, come per esempio sono le nostre Soprintendenze, è una specie di delitto. Apriti cielo! Si scatenano gli storici dell’arte, che si sentono scavalcati dagli architetti: queste sono le prime critiche piovute su Franceschini, che, accorpando la Direzione Generale Belle Arti e Paesaggio darebbe maggiore competenza agli architetti piuttosto che agli storici dell’arte. È poi il turno dei dirigenti, di I e di II fascia, tagliati rispettivamente di 6 e di 31 unità, non perché Franceschini sia cattivo, ma perché così vuole la spending review, di cui la riforma è un passaggio obbligato e che, infatti, proprio per rispondere alla legge di stabilità, non deve passare per il Parlamento. 
Gli scavi di Pompei

Insomma, prima ancora che sia attuata, questa riforma targata Franceschini e molto ispirata al nuovo corso renziano che vuole rivoltare l’Italia come un calzino, già si becca un po’ di strali e semina mugugni, nel perfetto stile italiota. E allora, tanto per essere chiari, diciamo che sarà senz’altro migliorabile (e anzi deve esserlo), che ha qualche buco e qualche incongruenza, ma che, per come l’abbiamo sentita e anche – aggiungiamo – in considerazione di quello che Franceschini ha detto e ha fatto fino ad oggi (quindi un’apertura di credito sulla “visione”), questa riforma ci piace. Tenta di cambiare in meglio alcune cose, dando per esempio autonomia gestionale ai musei. Contiene (finalmente) lo strapotere delle Soprintendenze, sempre un po’ strabiche in Italia: con l’occhio volto tutto (o quasi) alla tutela e niente (o quasi) alla valorizzazione, non preoccupandosi poi di come far funzionare quei Beni che vogliono tutelare. «In base alle nuove norme del decreto Cultura –Turismo, il parere di un singolo Sovrintendente non sarà più indiscutibile, come è oggi, e la concessione dei vincoli sarà affidata a un organo collegiale», puntualizza il ministro. Cerca di intervenire in un settore vitale della (possibile) ripresa ed economia italiane, puntando molto sulla formazione e sul rendere redditizio questo settore: «gli stranieri non capiscono come mai non valorizziamo la miniera d’oro su cui sediamo», dice ancora Franceschini. E guarda in avanti. Per esempio cercando di dar seguito alla formazione creando degli sbocchi professionali «evitando, insomma, che  chi è laureato in Beni Culturali vada poi a fare il cameriere a Londra o a New York», chiarisce il ministro. 
Tiziano, Venere di Urbino, 1538, olio su tela, 119x165cm, Firenze Galleria Degli Uffizi

Ma che cosa cambia in concreto questa riforma? Distingue tra Uffici Centrali e Uffici Periferici. Nei primi vengono introdotte per la prima volta una Direzione Generale “Educazione e Ricerca” «per legare la tutela del patrimonio alla formazione», spiega Franceschini e una per “Arte e Architettura contemporanee e periferie urbane”, cancellata anni fa e il cui attuale ripristino denota una discreta sensibilità del ministro sulle esigenze dell’oggi, Direzione Generale che si affianca a quella per le “Belle Arti e Paesaggio”. Anche gli “Archivi” e le “Biblioteche” avranno le loro Direzioni Generali, in quanto settori «che vanno valorizzati anche se non portano un euro di biglietto e non fanno notizia, perché sono il territorio della memoria», sottolinea Franceschini. Altrettante Direzioni per “Cinema”, “Spettacolo”, e “Turismo”. E altre due per “Organizzazione” e “Bilancio”. Confermata poi la Direzione Generale dell’Archeologia (che la riforma Bray voleva accorpare alle Belle arti e al paesaggio), con sovrintendenze per ogni regione, più le sovrintendenze speciali di Roma e di Pompei. E poi dulcis in fundo viene istituita una Direzione Generale per i musei. 
Che significa? Che in ogni regione ci sarà un direttore regionale per i Poli museali regionali, mentre 20 musei italiani avranno autonomia finanziaria e gestionale, tra cui rientra anche la galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) con sede a Roma. Due osservazioni a margine: ottima la scelta di valorizzare la GNAM, che denota di nuovo una sensibilità per la produzione artistica del presente, e soprattutto ottimo il criterio di scelta di questi 20 musei, fatto «non solo per numero di visitatori ma anche per l’importanza scientifica delle collezioni, per cui per esempio tra i primi 9 musei c’è Capodimonte di Napoli», spiega Franceschini e non (aggiungiamo noi) Castel Sant’Angelo di Roma che pure fa molti più ingressi, ma la cui qualità è molto discutibile. 
Alfredo Pirri, Passi. Roma, Gnam. Foto di Fabrizio Florian

A loro volta questi 20 eccellenze museali sono divise in due gruppi: 9 avranno dirigenti di I fascia e 11 dirigenti di II fascia. Il punto però è che Franceschini ha anche detto che la direzione di questi musei sarà messa a concorso, con commissione giudicante di alto profilo, al quale potranno accedere anche esterni e stranieri, come del resto accade (aggiungiamo noi) in tutti i Paesi del mondo, laddove evidentemente il criterio non è l’essere funzionario ministeriale (come accade in Italia), ma l’essere un bravo dirigente, pubblico o privato che sia. E questo, dunque, è un punto da chiarire.
Veniamo al taglio dei dirigenti: 6 in meno di I fascia e 31 in meno di II fascia, abbattimento già previsto dalla spending review, le cui funzioni saranno accorpate per materia e non su base territoriale. Le Direzioni Generali centrali, inoltre, assumono competenze anche per il turismo mentre quelle regionali sono trasformate in Segretariati: uffici di coordinamento amministrativo in sostanza, che perdono le funzioni tecnico-sceintifiche ma si radicano maggiormente al territorio. Ai vertici siederanno dirigenti di II fascia, anche qui con un occhio ben attento al turismo e alla promozione di attività culturali. 
Jacopo de Barbari - Doppio ritratto con Luca Pacioli - Galleria Nazionale di Capodimonte, Napoli

Questa, in sintesi, è la riforma targata Franceschini. Le cui maggiori criticità consistono anzitutto in quello che ha riconosciuto lo stesso ministro: ««non è una riforma fatta in tempi di spesa pubblica, ma di tagli alla spesa». E quindi non si tratta di un “rilancio” dei Beni Culturali, settore che Franceschini considera “strategico”, ma di un tentativo di (buona) manutenzione fatto in base alla legge di stabilità. Ma soprattutto che cosa significa unire più strettamente turismo e cultura? Piegare al turismo predatorio (più di quanto sia stato fatto finora) le nostre città d’arte, che sono il nostro maggiore attrattore turistico più delle spiagge o delle montagne? O si tratta di rivedere il binomio cultura –turismo si basi nuove, non dettate solo dal consumo, atteggiamento che può risolversi in un boomerang degradando la “grande bellezza” di queste città? 
Infine, per quanto riguarda i musei, che ruolo avranno quelli che si sono trasformati in fondazioni? Avranno anche loro i concorsi per il direttore? Continueranno a ricevere fondi dal Ministero, come per esempio accade oggi per il MAXXI o avranno una vera e completa autonomia gestionale con tutti i rischi che questo comporta? Un dirigente che ha diretto bene un museo potrà concorrere per mantenere il suo posto o dovrà far posto per forza ad altri? Perché poi c’è da chiedersi chi ci viene a fare il direttore di un museo in Italia con l’ammasso di burocrazia che c’è e i pochi soldi che gli daremmo?       

4 Commenti

  1. Attenzione. Tagliano 30 dirigenti ma – al momento – ne aggiungono 20, quelli dei musei di particolare rilevanza al momento diretti da “semplici” storici dell’arte. Dunque, al momento, il risparmio dirigenziale è già sotto le 10 unità. Scommettiamo che presto si aggiungeranno altri musei dirigenziali in modo da “Occupare” tutti i Soprintendenti sfrattati? (se non accadrà sarà perché gli altri sono pensionabili)

  2. Oltre ai monumenti ai ciuchi d’Italia, viene sempre il momento storico in cui bisogna scegliere fra l’arte, l’impegno politico e l’azione concreta. Cosa rarissima tra i cosiddetti artisti italioti addomesticati al potere politico di turno.

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