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L’impressione è quella di trovarsi continuamente di fronte a un gatto che si morde la coda, con la stampa generalista che parla di problemi sulla riforma di Dario Franceschini: ci sarebbero perplessità da Palazzo Chigi, che farebbe slittare all’autunno (ma siamo quasi in agosto, iter quasi naturale viene da dire) l’entrata in vigore del testo, con una revisione da parte del Consiglio dei Ministri.
Poi a latere, come sappiamo, ci sono i malumori “locali”: le Soprintendenze sono sul piede di guerra, e alcuni poli museali (Torino e Mantova come vi abbiamo raccontato) chiedono di entrare nella rosa dei musei autonomi. Insomma, non si muove foglia che un intero settore non sotterri l’ascia di guerra a rimarcare le proprie condizioni di appartenenza, come dogmi inviolabili. E mentre sul Corriere di stamattina un editoriale di Gian Antonio Stella prende le difese di quel cambiamento messo in atto da Bray e stoppato sul nascere con la caduta del Governo Letta, c’è anche la più grande categoria di “controllo” dei lavoratori, i sindacati, che lanciano un nuovo anatema: lo stato è incapace di gestire i propri beni e quindi chiede l’aiuto ai privati. E pare che per le associazioni sindacali si sia nel bel mezzo di un nuovo delitto: “La Beni Culturali spa, un maxi appalto da mezzo miliardo del Ministero del Tesoro per far si che i privati gestiranno i musei e i monumenti, l’ibrido tra il pubblico e il privato è ormai cosa fatta: è questo il modo per creare tutti i presupposti per avviare il completamento della privatizzazione del settore dei Beni Culturali, e dimostra che lo Stato italiano rinuncia deliberatamente ai propri compiti istituzionali nel settore della cultura”, si legge in una nota. L’argomento incriminato, insomma, è il maxibando che il Ministro dell’Economia e Finanza Pier Carlo Padoan, sta mettendo a punto per una gara del valore di mezzo miliardo di euro per appaltare ai privati i “servizi di gestione integrata e valorizzazione dei luoghi di cultura”. Questa novità dovrebbe partire dal prossimo ottobre e coinvolgerebbe operatori di tutti i tipi lavoranti nei servizi dei Beni del Paese. Quel che non si capisce più è dove stia il rimprovero: in tutti i modi si è detto e ridetto che dal Ministero non pioverà più un euro, e se non subentreranno i privati c’è il caso, più che plausibile, che un intero settore vada a rotoli: « Guai, se accadesse: dopo rimaneggiamenti che non hanno portato a una maggiore efficienza della macchina ma al contrario ne hanno ulteriormente ingrippato i meccanismi, il ministero dei Beni culturali dev’essere assolutamente sistemato», scrive Stella. Aggiornamenti in corso.