29 luglio 2014

L’intervista Fluido come un Pesce

 
“Il tempo della diversità” non è solo il titolo della mostra che il MAXXI dedica a Gaetano Pesce. É anche il binomio sul quale l’architetto, designer, artista italiano, classe 1939, ha incentrato la sua ricerca sin dagli anni Settanta. Perché non c’è niente di peggio che pensare tutti allo stesso modo. E non c’è niente di meglio dell’essere diversi. Seguendo il tempo

di

Gaetano Pesce
Contrario a qualsiasi idea di omologazione del pensiero, del gusto e della cultura in genere, Gaetano Pesce comprende sin da subito l’importanza di essere promotore del valore della diversità: l’arte, l’architettura ed il design devono essere colore, fluidità, materia e trasmettere gioia. Ed anche il tempo secondo la visione del maestro non è silenzioso e ripetibile come spesso si crede, bensì sempre diverso – «il tempo di ieri non è uguale al tempo di oggi e non è uguale a quello di domani»; e “rumoroso” per tutto ciò che avviene grazie al suo scorrere. Da queste riflessioni nasce la mostra in corso al MAXXI di Roma (fino al 5 ottobre)allegra, fluida e che offre diverse chiavi di lettura e fruizione. Perché, come Gaetano Pesce ci spiega in questa intervista, l’arte deve toccare l’emozione con dei messaggi positivi.
Gaetano Pesce, Il tempo della diversità. foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI

“Il tempo e la diversità” è il titolo della mostra in corso al MAXXI. La diversità è ancora un valore da scoprire come chiave del nostro futuro, e quanto è difficile l’affermazione della diversità in un mondo che tende alla globalizzazione?
«Da secoli l’uomo persegue l’uguaglianza. Seguendo la strada di questa pianificazione del mondo sono sorte le correnti politiche che tendevano a convincere i popoli a pensare tutti allo stesso modo o è nato, ad esempio in architettura, lo stile internazionale che affermava che era possibile realizzare lo stesso progetto architettonico nel mondo intero. Quando ho iniziato a riflettere su questi argomenti era l’inizio degli anni ‘70 ed ho capito che sarebbe stato un gran pericolo se il mondo avesse continuato ad andare verso la standardizzazione dei luoghi, delle lingue, dei dialetti, delle tradizioni, delle identità, poiché il mondo è diverso. Rendere uguali la Svezia o l’Africa sarebbe un sacrilegio, addirittura un crimine. Quindi, ho iniziato a riflettere sul fatto che le persone sono diverse e che  questa diversità ci consente di comunicare, perché due persone diverse hanno la possibilità di confrontarsi tra loro, mentre chi è uguale non ha niente da dire e quindi si rischia di cadere nella noia e nel mutismo. È stato allora che ho capito che dovevo dedicare parte del mio lavoro a convincere, magari provocando, che non siamo uguali: l’architettura che realizziamo a Roma dev’essere diversa da quella che vedremo a Mosca, perché le realtà e lo spirito dei luoghi sono diversi. Dal punto di vista degli oggetti, non sappiamo dove sono fatti, da dove vengono, non esprimono il luogo, il Paese in cui vengono realizzati, il modo di pensare dell’autore. Anche in questo caso mi sono adoperato per promuovere l’idea che gli oggetti non devono essere soltanto funzionali, ma trasmettere un bagaglio di informazioni che li caratterizzi. Da questo lungo percorso nasce la mostra in corso al MAXXI, il cui titolo Il tempo e la diversità vuole sottolineare il fatto che non siamo più nel tempo dell’uguaglianza ma nel tempo della diversità e lo sarà sempre di più, perché le persone amano essere persone e non numeri, amano avere un carattere, essere riconosciuti per questo carattere che hanno e affermarsi per quello che sono e non far parte dell’astrazione». 
Gaetano Pesce, Il tempo della diversità. foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI

Qual è il suo rapporto con la storia? Il suo è uno sguardo volto continuamente al futuro, eppure anche da questa mostra emerge chiaramente quanto il proprio vissuto sia un bagaglio importante che lei porta dietro con se. Ne sente la consistenza o è qualcosa di cui vorrebbe liberarsi? 
«La mia storia personale mi interessa poco, nel senso che se guardo a quello che ero sono portato a ripetermi, cosa che spero di non fare, e quindi non guardo alla mia propria identità perché potrebbe essere in un certo senso uno sfogo nostalgico, mentre la Storia credo che sia estremamente importante per capire da dove veniamo e dove stiamo andando, ci spiega come le cose si svilupperanno. Se guardo la storia dell’arte c’è sempre un movimento che contrasta il prossimo, che si contrappone al successivo, quindi se oggi nel campo dell’arte, della musica, della poesia, dell’architettura, viviamo nel periodo dell’astrazione ritengo che la prossima espressione generalizzata nel campo delle arti sarà la figurazione. Inoltre, la figurazione ci consente di comunicare meglio con gli altri, cosa indispensabile nell’era della comunicazione». 
Gaetano Pesce, Il tempo della diversità. foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI

La fluidità, la diversità, il non standard sono punti fondamentali della sua ricerca, eppure questi elementi non hanno mai un carattere didascalico. Il suo lavoro, sebbene riconoscibile, riesce sempre a sorprendere, mostrando punti di vista sempre nuovi. Come giunge all’individuazione di nuove visioni, quando sa di aver intercettato un nuovo orizzonte da esplorare? 
«Osservando delle cose casuali la questione che ne deriva è assolutamente casuale. Per esempio, una delle cose che io osservo è la strada, quello che vi avviene, come cammina la gente, come si veste, come parla, come si muove, cosa desidera, cosa non desidera. Tutte queste cose sono estremamente fluide, e quindi da un giorno all’altro cambiano, perciò l’osservazione che ne deriva non è mai la stessa. Un altro elemento importante è il mondo, che è fatto di diversità per fortuna, quindi i luoghi che vedo viaggiando o i racconti di amici che incontro di volta in volta mi portano a fare delle riflessioni che poi accendono un pensiero. La famosa storia della lampadina che si accende quando arriva l’idea non è proprio vera, ma quando centro con un pensiero, un certo fenomeno, qualche cosa mi dice che vale la pensa perseguirlo». 
Gaetano Pesce, Il tempo della diversità. foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI

Durante la presentazione della mostra, il curatore Gianni Mercurio ha parlato dei giorni che l’hanno preceduta come di un momento creativo molto forte, di esperienze di workshop, di confronto, di una fucina creativa. Può raccontarmi di quest’esperienza definita da Mercurio come qualcosa che ricordava addirittura vagamente la factory?
«Senz’altro i giorni di lavoro sono stati estremamente creativi, perché inizialmente non avevo idea di quale sarebbe stato il risultato finale. La mostra ha preso forma lentamente iniziando prima ad appendere una cosa, poi spostandone un’altra e pian piano ho capito che era necessario creare una comunicazione fra parti: c’era la comunicazione della mostra, ma c’erano anche delle note che dovevo fare per introdurre facilmente la lettura del visitatore. Quando i miei collaboratori e quelli del museo hanno realizzato un paio di interventi sporadici, degli schizzi, ho visto che stava nascendo un’altra mostra, una mostra nella mostra. Il tutto ha iniziato a prendere forma e un’atmosfera festosa ha coinvolto l’intero gruppo di lavoro. Questo ha permesso di realizzare una mostra che accoglie il visitatore senza mettergli davanti delle pesanti barriere di carattere culturale, come accade a volte con certe mostre che sono dogmatiche, pesanti, grigie, e che fanno quasi del terrorismo culturale. Il fruitore va accolto con gioia, addirittura direi con superficialità, la cosa importante è toccare l’emozione con dei messaggi positivi, ovviamente ciò non esclude che la superficialità possa poi introdurre qualcosa di più complesso come la lettura dell’opera».
Gaetano Pesce, Il tempo della diversità. foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI

Lei ha dichiarato di essere molto felice di poter esporre a Roma, la capitale del suo Paese, dove non vive più da diversi anni, ma con il quale ha mantenuto stretti legami. Come vede l’Italia e che futuro immagina per questo Paese?
«Intanto se guardiamo la storia l’Italia è un Paese che sale e scende, eravamo in un periodo di discesa credo che siamo già in un periodo di risalita. L’Italia resta un Paese che ha delle doti e delle qualità straordinarie, anche dal punto di vista economico è un Paese che ha delle miniere di denaro immense, solo che i nostri governanti e amministratori non hanno capito quello che noi abbiamo: nei musei italiani c’è una tale massa di opere che nessuno conosce, nemmeno catalogate, che si potrebbero affittare a privati e musei in giro per il mondo, si tratta di una ricchezza paragonabile ai pozzi petroliferi, solo che non ci sono stati fin ora politici così carismatici da affrontare temi tanto complessi». 
 

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