27 agosto 2014

Festival del cinema E molto d’arte

 
A Venezia, la Biennale Cinema che si apre oggi, racconta le vicende della nostra storia intellettuale. Da Leopardi a Pasolini, mixando vita e poesia. E poi c’è l’arte, che passa al grande schermo. Ci provano i Masbedo, sulla scia di McQueen e Neshat. Come andrà a finire lo vedremo, ma in tutti i casi ci sarà da lasciarsi affascinare. O almeno lo si spera!

di

Masbedo, The Lack, still da video
A Venezia il cinema, negli anni, si è sempre più legato al mondo del visivo, anche se separare i due generi – specialmente oggi – è un crimine, piuttosto stupido.
Così come è superfluo voler separare le carriere di chi inizia con l’arte e si butta sul grande schermo, come è accaduto per i Masbedo, al secolo Nicolò Massazza e Jacopo Bedogni, i due videoartisti milanesi che con The Lack affrontano il loro primo lungometraggio, che sarà presentato alle “Giornate degli Autori” il prossimo 31 agosto.   
Prima di loro, ricordiamolo, ci sono stati anche Steve McQueen e Shirin Neshat, e i risultati sono stati per entrambi eccellenti, anche se la Neshat è rimasta forse un poco più confinata alle pareti dei musei, vuoi per impostazione, vuoi per regia e tematiche, mentre McQueen ha percorso con un successo senza eguali entrambe le strade, collezionato da musei e osannato dal pubblico del cinema. 
Ma di cosa racconta The Lack? Su una sceneggiatura di Beatrice Bulgari, Mitra Divshali e Masbedo, con la produzione della stessa Bulgari e della sua In Between Art Film, si tratta di settantasei minuti sul tema della “mancanza” in quattro variazioni, in un universo femminile sospeso tra solitudine e angoscia, dove compaiono sei diversi personaggi a contatto estremo con la natura più inospitale e selvaggia, tanto coinvolgente quanto impossibile, dalla Finlandia alle Eolie.
Un viaggio catartico, di conoscenza, girato con i tratti tipici della regia del duo: brevi sequenze di natura, spesso con camera fissa, pochi piani sequenza e attenzione ai dettagli in una forte ricerca formale dove si sente potente, talvolta forse pure eccessivo, il sintomo dell’abbandono, il distacco, il coraggio e la fatica nel ricomporre esistenze frantumate e del cui passato lo spettatore resta per lo più ignaro. 
«The Lack è un film nato dall’esigenza di coniugare il nostro mondo della video-arte con un progetto cinematografico utilizzando il nostro linguaggio. Il film ci ha permesso di sperimentare oltre l’esperienza videoartistica. Nel film non ci sono comparse, solo sei donne, nessuno accompagna la loro solitudine. Volevamo che la voce del film fosse radicale, snervante tra un silenzio malinconico e la presa diretta della natura. Ci interessa riportare al centro delle nostre questioni il cinema di immagine riducendo la troupe e restando artigiani della nostra opera», ha dichiarato il duo, che ha all’attivo una partecipazione al Padiglione Italia della Biennale 2009, ma anche una collaborazione con lo scrittore francese Michel Houellebecq con il quale hanno scritto e prodotto le opere 11.22.03 e Il mondo non è un panorama, dove ha recitato Juliette Binoche, rispettivamente nel 2002 e 2005. 
Masbedo, The Lack, still da video
Il giovane favoloso è invece il nuovo progetto di Mario Martone, che vede protagonista Elio Germano. Anche in questo caso l’arte, in senso letterario, c’entra eccome, visto che si parla delle Operette Morali di Leopardi. Riprese rigorosamente a Recanati, dove Martone ha affermato di aver avuto la prima “visione” nel 2010, mentre era nelle Marche in vacanza: «Per me che avevo l’omega di Napoli è apparsa l’alfa. Avevo sfiorato Leopardi a teatro nel 2004, e in questo decennio sono rimasto molto legato all’Ottocento. È chiaro che la voce di Leopardi mi ha sempre accompagnato». Prodotto da Rai Cinema e Palomar, nel film, oltre a Germano, saranno presenti Isabella Ragonese, Ennio Fantastichini ed Edoardo Natoli. Chissà come riuscirà l’esperimento di riportare lo sventurato, amato ma spesso anche detestato (dagli studenti delle scuole dell’obbligo) poeta sul grande schermo, con una pellicola densa delle sue parole più pessimistiche, anche se ironiche e in prosa.
Ricordiamolo: nelle Operette Morali, raccolta di 24 testi concepita a metà degli anni ’20 dell’800, l’autore rimpiange il tempo dell’infanzia come un periodo ricco di immaginazione e fantasia, e racconta di una natura che non è più la Madre benigna, ma l’elemento distruttivo anche nei confronti della vita dell’uomo, segnata dall’impotenza di fronte alle leggi della sorte, e in cui l’autore indaga le illusioni con cui l’uomo riesce a rendere più accettabile la sua vita. A giudicare dai primi trailer il volto e l’espressività di Germano non hanno avuto problemi a dare corpo allo sguardo disincantato del Giovane Favoloso (già il titolo ha il sapore del riscatto verso il cliché del “genio sfigato”), ma sarà il buio della sala a rivelare se tutto – nell’arte di traslare Leopardi e in quella di Martone con le inquadrature – filerà liscio.
Elio Germano ne Il giovane favoloso, di Mario Martone
Ma c’è anche un altro autore italiano, poeta, giornalista, regista e critico alla Mostra del Cinema: Pier Paolo Pasolini. Nell’anno del 50esimo del Vangelo Secondo Matteo Matera gli ha dedicato un festival, e non si contano le mostre e i riconoscimenti a uno dei nostri più scomodi e riconosciuti intellettuali. Che in questo caso è fatto rivivere nella sua ultima notte a Ostia, il 2 novembre 1975, da Abel Ferrara. Regista contestato e altalenante, “italoamericano del Bronx” come si definisce, con “l’antico Maestro” italiano forse condivide la passione per le immagini, più che la pertinenza storica. Pier Paolo Pasolini uscirà nelle sale il 18 settembre e Ferrara, in una lunga intervista su Repubblica, ci ha tenuto a far sapere di essere pulito: «Non bevo alcol e non prendo droghe da un anno e mezzo. Vi prego di tenere pulito questo set, vorrei che questo film fosse fatto con il massimo della lucidità, la mia e la vostra», pare abbia detto alla troupe all’inizio delle riprese.
Certo, perché sbagliare su Pasolini per un regista (quindi per un intellettuale) è un po’ come firmare la propria condanna, e stavolta Ferrara non si può permettere scivoloni. A interpretare l’illustre italiano sarà Willem Dafoe, in un’impressionante somiglianza visiva, mentre a fare la parte di Ninetto Davoli sarà Riccardo Scamarcio e lo stesso Davoli sarà nel film insieme a Adriana Asti (che interpreta la madre di Pier Paolo) e Damiano Tamilia (nel ruolo di Pino Pelosi). 
Dino Pedriali - Pasolini sul ponte di Sabaudia - 1975 - stampa ai sali d’argento su carta baritata - cm 30x40
Una bomba, insomma, che Ferrara ha dichiarato di ordire da vent’anni: «Ma non riuscivo a trovare la chiave giusta. Non avendo avuto la fortuna di incontrarlo, ho cercato di conoscerlo attraverso i suoi film». 
Sull’idea serpeggiante che il film possa essere un dossier sulla morte, visto che racconta dell’ultimo giorno, il regista risponde così a Maria Pia Fusco: «Non sono un detective, me ne frego di chi lo ha ammazzato, io ho fatto un film sulla sua tragedia personale e sulla perdita di un genio, di un poeta, di un artista, di un uomo che aveva il raro talento di interpretare la realtà. Pasolini non è un’inchiesta né un documentario, è un film, è finzione. C’è una sequenza in cui gioca a calcio, cosa che quel giorno non ha fatto, ma so che gli piaceva e se vedeva qualcuno giocare si univa. Perché non raccontarlo?».
Libero arbitrio certo, e l’idea di una comunanza con il nostro grande: «Come lui, a volte sono stato giudicato scomodo, un disturbo per la morale comune. Mi ritrovo soprattutto nella sua ricerca assoluta di libertà creativa, ciò che purtroppo non ho è la sua cultura e l’intelligenza di dire cose giuste al momento giusto». E anche nella battaglia dell’essere sé stessi ad ogni costo, nella ricerca della propria verità. Che in newyorkese si tradurrebbe con un poco più blando “Be yourself”. 
Un po’ come forse sono stati, a prescindere, tutti questi esempi. 
Il risultato si vedrà, ma quel che è certo è che l’arte, nel senso più ampio del termine, in laguna continua a tirare anche oltre la Biennale e anche nella “leggera” esperienza del cinema. In barba a chi pensa che il nostro passato sia buono solo per polverosi episodi di cronaca nera o di sermoni sulle cattedre delle scuole medie. Viene in mente Derek Jarman, che con Pasolini aveva grande affinità elettiva, quando nei suoi numerosi scritti si descriveva come un “archeologo della cultura”, per il quale il cinema era un’esperienza di scavo. Prima o poi arriverà anche il momento del suo riscatto. 

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