02 settembre 2014

Festival del Cinema/ Diario del 2 settembre: Thelma e Martin, una giornata da italiani

 

di

Martin Scorsese
New York, anni ’60. Una studentessa ha appena finito il corso di Scienze Politiche a Ithaca (NY) alla Cornell University, trova un annuncio sul New York Times per un corso di sei settimane alla NYU. Il docente si chiama Martin Scorsese, non ha ancora realizzato lungometraggi distribuiti nei grandi circuiti. Dopo il corso continuano a collaborare e da allora non hanno più smesso, nonostante diversi Oscar, BAFTA, Grammy Awards. In quindici anni ha imparato tutto da Scorsese e sa di lavorare per il regista che usa il montaggio e la costruzione realistica delle sequenze come nessun altro al mondo. 
La protagonista della storia a lieto fine si chiama Thelma Schoonmaker, oggi premiata con il secondo Leone d’Oro alla Carriera attribuito dalla Biennale di Venezia.
Oggi è anche un giorno importante per i film italiani, con Gabriele Salvatores che presenta Un giorno in Italia, dall’idea Ridley Scott che ha già realizzato A day in Britain. Il documentario, coprodotto da Paolo del Brocco per Rai Cinema, è il montaggio di ventiquattro ore di racconto autobiografico volontario di chi ha voluto aderire all’appello sostenuto da Rai Cinema. Hanno risposto in 44mila persone, otto volte il numero degli aderenti nel Regno Unito, mandando la clip di un racconto della propria giornata particolare. Salvatores ne sottolinea il carattere di confessione laica, il gesto di adesione a un racconto di sé per la necessità di testimoniare la dignità e un’attitudine di grande tenerezza nei confronti della vita, nonostante il momento difficile e controverso che vive il nostro paese. 
Davide Ferrario, invece, presenta la Zuppa del Demonio. Anche questo cooprodotto da Paolo del Brocco per Rai cinema. Da Torino, lo sguardo di Ferrario non poteva non partire dagli archivi della produzione industriale in Italia. Riutilizzando gli archivi Cinematografici Olivetti, Ferrario ripercorre la storia industriale e il mito dello sviluppo in Italia fino alla crisi petrolifera degli anni sessanta, anche attraverso le voci di Volponi, Bianciardi, Fortini. La chiave interpretativa è quella di Franco Fortini, che diceva negli anni sessanta: “Dal progresso si esce con più progresso, dalla tecnologia si esce con più tecnologia”. 
Non riesco a nascondere il grande imbarazzo davanti all’idea di viaggio in Italia che risulta da quello che si vede in mostra. In una Biennale bella perché sobria, con film tutti con una qualità media molto molto alta, in cui non manca nessuno di tutti coloro che veramente hanno fatto la storia del Cinema, in un momento così ruvido in cui sarebbe il caso di riuscire almeno a raccontare i conflitti che attraversiamo, quello che il cinema italiano affermato e presente in concorso esprime è una forte nostalgia per tempi andati, un grande provincialismo e una grandissima debolezza nel leggere la realtà e la sua falsificazione, nonostante i proclami e la retorica delle celebrazioni e dei premi. Meno Maresco, che infatti latita perso non si sa dove. Speriamo allora che i nuovi progetti, come Biennale College, e una generazione che non ha paura del futuro, ridia un po’ di libertà e di capacità di lettura a un circolo un po’ troppo ripiegato sull’introspezione e sul passato. (Irene Guida)

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