14 ottobre 2014

Cartoline da Londra/1. Tutti in fila a fare wow! per la gigantesca installazione di Richard Tuttle alla Tate Modern

 

di

Richard Tuttle: I Don’t Know . The Weave of Textile Language
Comincia con il rosso fiamma la settimana londinese di Frieze. E comincia da quello che in città è il tempio dell’arte contemporanea: la Tate Modern, che peraltro, con buonapace della crisi, sta per raddoppiare sul serio. Manca poco perché la seconda creatura di Herzog & de Meuron ospiti parte dell’ingente collezione del museo e offra al pubblico il meglio di quello che si fa in arte oggi. Almeno a livello di grandi musei, di curatori preparati, di seri e danarosi progetti. Che invidia, la Perfida Albione! Meglio mettercisi di fianco e non contro, se ne uscirebbe facilmente a pezzi. 
Meglio mettersi a rimirare, quindi, a fare tutti gli wow del caso davanti, sotto e sopra la più grande installazione fatta in tessuto che l’artista americano Richard Tuttle abbia mia realizzato in vita sua. Una montagna vaporosa di rosso e poi di arancio e giallo che spumano e si rincorrono tra gli spazi e la smisurata altezza della Turbine Hall del museo londinese. Con volumi che si gonfiano e che poi cadono e si riprendono. Che sembrano quasi danzare nello spazio. Tuttle ha sempre lavorato trasversalmente rispetto a mezzi e a linguaggi, non privilegiandone mai uno solo, ma usandoli tutti in nome dell’idea che ha dell’arte: “food for spirit”, cibo per la mente. 
Trionfalismo? Sì, un po’ sì. Ma inevitabile. Un po’ come è stato per la grande madre bianca realizzata con lo zucchero da Kara Walker la primavera scorsa a New York. Lì si trattava di un’installazione ancora più potente, che sfruttava al meglio la porosità estetica del contenitore povero, ma quello che colpisce è l’ambizione dei progetti, la visionarietà degli artisti sostenuta da precisi impegni economici. Qui, a Londra, non si arriva a tanto. Ma si arriva, comunque. Tanto da non poter parlare in questo caso di “misura” ma di “scala”, come sottolinea la nota critica di presentazione dell’opera di Tuttle. E di scala architettonica si tratta infatti. Mobile, esuberante, carica di energia. 
E alla fine, oltre lo stupore, quello che ci colpisce di più, appena messo piede in questa città e imbattutosi con uno di progetti proposti, è proprio la colorata, esuberante energia che questa opera incarna e che esprime bene l’energia di un Paese in crescita (addirittura in Europa!). Un po’ di cose che a noi mancano. E siamo solo all’inizio.  

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