18 ottobre 2014

Le “Capitali Italiane della Cultura”, dal 2015. Ma con quali fondi, e perché? Che stavolta Franceschini abbia preso il virus dell’annuncite?

 

di

Dario Franceschini
Quand’era stato trattato alla Camera, lo scorso luglio, il punto delle “Capitali italiane della cultura” presente nell’ArtBonus di Dario Franceschini era passato un po’ in sordina. 
L’idea, nella mente di addetti ai lavori e non, era che si trattasse di un contentino da dare a tutti quei capoluoghi di provincia che, rimasti a bocca asciutta dalla nomina di “Capitale Europea della Cultura 2019”, titolo andato a Matera ieri: l’affissione, insomma, di una “stelletta” su qualche gonfalone come rivincita per il lavoro svolto. 
Ieri, invece, il Ministro Franceschini è tornato sui suoi passi, annunciando che Siena, Ravenna, Lecce, Perugia-Assisi e Cagliari, le città “perdenti” nella corsa per il titolo europeo, saranno capitali italiane della cultura nel 2015 e nel 2016: «Il presidente della Commissione Steve Green ha affermato che nessun’altra competizione è mai stata di questo livello qualitativo. Per questo sono importantissime le due norme approvate dal parlamento con decreto Art Bonus. La prima è il  programma Europa 2019 che prevede di sostenere la realizzazione del lavoro progettuale anche delle città che non hanno vinto. La seconda è l’introduzione dal 2015 della Capitale Italiana della cultura. È evidente che una capitale della cultura a livello nazionale, e ogni anno, offrirà una opportunità di competizione virtuosa a tutte le città italiane grandi e piccole, in grado di far scattare gli stesso meccanismi positivi e straordinari in termine di progettazione unitaria e creatività che abbiamo visto tra le 6 città finaliste». 
Quello che forse sembra non aver chiaro Franceschini è la più classica delle domande: con quali fondi le città italiane potranno “gareggiare” per essere capitali della cultura annualmente? Gli Assessorati alla Cultura sono i più tagliati, poi si tagliano e si accorpano musei, si chiudono o riducono festival, e l’Europa tra poco chiederà indietro i fondi stanziati (e non appaltati) per il restauro e la conservazione di centinaia di beni storici e archeologici del Belpaese. Quale sindaco avrà mai il coraggio di spendere denaro per una gara interna al Paese più sinistrato che il settore della promozione culturale conosca?
Sembra un poco di voler fare i conti senza l’oste. E farci belli di fronte ai nostri “concorrenti” europei, senza averne le tasche. In pieno stile “annuncite” che non ci fa bene. Insomma, stavolta Franceschini non ci è piaciuto, a meno che non ci spieghi dove trovano i fondi le città capitali della cultura italiana.

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