19 novembre 2014

Prodotto d’artista, a scopo benefico. A sostegno di “Contemporary Locus” arriva Diego Perrone, con “Manoplà”

 

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Un quadrato nero che omaggia Malevic, due occhi, una bocca, un tessuto tecnologico: dalla sperimentazione dell’artista Diego Perrone, unita all’esperienza di un’azienda del made in Italy di eccellenza, La Rocca srl, leader nell’abbigliamento outdoor di alta gamma, nasce manoplà.
Un prodotto versatile, da indossare, interpretare e collezionare: un guanto, una pochette, una maschera e un saluto d’artista. È realizzato in 100 esemplari, numerati e firmati. Sarà presentato per la prima volta al pubblico Venerdì 21 Novembre a Bergamo presso il concept store Coffe N Television, mentre parte in questi giorni una campagna di comunicazione online, tramite il sito www.manopla.it e un video realizzato da Marco Chiodi.
Il progetto è il primo di una serie di produzioni di idee d’artista promossa da contemporary locus ed è destinato a sostenere la mission dell’associazione guidata da Paola Tognon. Ripercorriamo la storia di manoplà insieme all’artista.
Sei stato invitato a sviluppare un prodotto. Raccontaci come è nato e come ha preso forma la tua idea?
«La prima ragione di questo lavoro è sostenere contemporary locus. L’entità dell’operazione è questa, non si trattava di fare un’opera, ma un prodotto a sostegno di un progetto culturale completamente non profit. L’idea principale era poi quella di collaborare con un’azienda, La Rocca srl, il risultato doveva nascere da questa combinazione, e quindi riguardare il mondo dei tessuti, delle confezioni e dell’abbigliamento sportivo di alta gamma. Quindi è venuta l’idea del guanto, che, semplificato, è diventato una manopla. E da qui è nata la possibilità di far diventare geometrica una mano. L’aspetto nuovo è che l’interesse si è rivolto sull’immagine più che sull’uso quotidiano: anche se questo uso esiste, per noi è prima di tutto un’immagine che ha senso possedere. È quasi olografica. Più che solo un prodotto possiamo dire che si tratta del feedback di un prodotto, di un’immagine a posteriori che contiene un ingrediente in più di “non senso” che serve a elaborare qualcosa che ancora non sappiamo».
Manoplà non è un’opera ma un prodotto d’artista. Come hai vissuto questa differenza rispetto al tuo lavoro?
«Per me è stato un processo interessante in cui ho potuto dare un input che poi è stato deformato, e migliorato, dall’insieme delle competenze chiamate da contemporary locus, che lo hanno inserito dentro un contesto comunicativo diverso. Partendo da un’idea molto basica abbiamo deciso di sviluppare una strategia di comunicazione, lavorando sull’immagine del prodotto. 
È stata un’esperienza nuova che volevo fare da un po’, è una buona occasione per affrontare questo tipo di approccio: si tratta di un modo di lavorare in staff che è meno autoriale e più di ricerca. manoplà non è un multiplo, ma un esperimento, un’esperienza altra che contiene qualcosa di inafferrabile. In questo quadrato nero, la nostra entità si è messa in gioco, creando un campo di possibilità ancora più produttivo che il prodotto in sé».

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