18 dicembre 2014

Italia, svegliati giovane!

 
Il Censis fotografa un Paese sconfitto, “Loser”, che in inglese significa perdente. Una nuova cartolina amara. E la colpa forse non è solo della politica

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Sembra che l’Italia, tra cronaca nera e spauracchi di ogni genere, si sia quotidianamente abbonata alla top ten della tragedia. Per carità, non vogliamo farla facile e nemmeno sminuire la situazione, preoccupante sul serio. Anche a livello sottile, psicologico, con il 60 per cento della popolazione che ha paura di finire in povertà, secondo il Censis, l’abbassamento degli stipendi e l’insicurezza delle periferie (roba che nemmeno il Bronx negli anni ’70)
Quel che infatti aleggia, a margine di tutto quello che abbiamo potuto leggere, è che gli italiani abbiano imparato a convivere, e anche un po’ a crogiolarsi, nella paura della paura. Psicologia spicciola forse, ma sembra che la nostra nazione viva sotto il costante assedio di un imminente attacco di panico, conseguenza forse di un’isteria e un’esasperazione generale alimentata dai media, dalla classe politica che rimbalza le notizie più tragiche come un volano, e dalla nostra stessa quotidianità, intrisa di informazioni nefaste. E spesso contraddittorie.
Se pochi giorni fa vi raccontavamo dell’ennesimo sondaggio intorno alla crisi, dove i giovani disoccupati crescevano del 46 per cento (quelli dai 15 ai 24 anni, che notoriamente dovrebbero essere a scuola), il Censis fotografa invece una scolarizzazione in crescita, che però non produce forza-lavoro. Poi, paragrafo dopo paragrafo, si fotografa un calo delle matricole universitarie.
Ora, il gatto si morde la coda: o questi giovani si fanno studiare, anche grazie al sostegno delle famiglie (il vero welfare italiano), o li mettiamo in fabbrica a produrre. Ma se le imprese crollano? Sarebbe, appunto, meglio studiare. Per un futuro che però, da tutti i lati, si dice essere perduto.
Sentiamo sempre parlare di impresa, di fatturato, di economia, di ripresa, di occupazione, ma di cultura e giovani (leggi istruzione), si deve venire a conoscenza in apposite ricerche, quando vi sono, perché ancora e nonostante tutto, la scuola sembra – in Italia – un’istituzione di seconda mano.
Ma qualcuno lo vuole capire che senza istruzione, e senza cultura, non c’è sviluppo? 
Il Centro Studi Investimenti Sociali parla di capitale umano sottoutilizzato e sotto inquadrato (anche se manca il “sotterraneo”, quelli che lavorano in nero) e poi di un boom di occupati sopra i 50 anni, mentre su altri lidi sono infinite le polemiche per il fenomeno degli esodati e di non riuscire a recuperare la propria occupazione dopo una certa età.
Insomma, la cartolina d’Italia è un sorta di spauracchio totale, e per fortuna quest’oggi siamo stati risparmiati dall’allarme malattie e simili.
Quello che ancora si deve capire, governo in primis, è che un Paese allo sbando prima di tutto bisognerebbe cercare di ricostruirlo con la fiducia, e non facendo le barricate e rispondendo alla gente che scende in piazza «Che protestino pure, tanto noi in piazza ci andiamo lo stesso», pronunciata da Matteo Renzi qualche giorno fa. 
L’unione dell’Italia, e ci rivolgiamo all’altro Matteo, Salvini, non si fa polemizzando su una scuola che ha deciso di non fare il presepe: si fa smettendo di discriminare e di pensare che questo sia il migliore, e il più giusto, dei mondi possibili. 
Con l’istruzione, la ricerca, l’università, la cultura, spesso si sono trovate soluzioni, idee, rilanci, rivoluzioni. Qualcuno, nei secoli, ci ha rimesso la pelle sul rogo. Oggi al massimo ci si becca solo qualche sberleffo. Ma chissà che qualche buffone in vena di cambiare non possa spingere sul freno di una “crescita” che ormai crescita non è più, ma una corsa verso il burrone. Il burrone dove finiremo se continueremo a farci paralizzare da sondaggi “bad news”, invece di rimboccarci le maniche con un altro sguardo. Giovane. 

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