18 dicembre 2014

Fino all’8.II.2015 Mario Sironi 1885 – 1961 Complesso del Vittoriano, Roma

 
Un pittore tragico al Vittoriano

di

Ci hanno fatto piangere mostrandoci la sedia a rotelle di Renoir. Ci hanno fatto commuovere raccontandoci aneddoti sul povero Lautrec storpio e innamorato delle donne. Ci hanno esibito in esclusiva le croste dipinte dal cugino dell’amico del pittore Tale, o i disegni del pittore Talaltro quando aveva tre anni. Oggi al Vittoriano ci sorprendono, con una buona mostra. Sorpresa doppia, la mostra è su Mario Sironi.
Certi artisti compromessi con il regime, in Italia vanno maneggiati con cautela, come i fili dell’alta tensione, poiché posti su quel confine incerto tra il regno del giudizio estetico e il regno del giudizio politico e ideologico. Elena Pontiggia, già in confidenza con artisti di quel periodo insidioso, cerca di farlo, anche indorando la pillola (ad esempio, più di una volta viene sottolineato come Sironi, nonostante fascista convinto, fosse contrario alle leggi antiebraiche).
Ne emerge un quadro abbastanza completo sulla carriera del pittore sardo, romano acquisito, nato centoventinove anni fa. Si inizia con i non brillantissimi esordi simbolisti (di cui però ci saremmo aspettati qualche pezzo in più) e divisionisti – influenzati da Balla e Boccioni – per poi passare alle ricerche futuriste. Arriva poi la stagione metafisica, che in Sironi prende la forma, intorno al 1920, di paesaggi urbani milanesi, deserti, alienati, alcuni dalla prospettiva deformata e assediati da ombre densissime.
Mario Sironi, L'aratro 1928
Segue il rapporto con Margherita Sarfatti, sua grande estimatrice, e il periodo di Novecento, rappresentato da ottimi pezzi, come L’Architetto o Solitudine. Ed è qui che si mettono a fuoco i caratteri più personali della pittura sironiana, i colori terragni, le figure legnose, quel suo tonalismo sordo e spento che tiene la luce continuamente in scacco. È un’Italia autarchica, quella di Sironi, fatta di severi lavoratori rurali e industriali e, diciamolo, un poco cupa e mesta, apparentemente inconciliabile con l’insopportabile ottimismo fascista. 
Ma è attraverso la pittura murale – qui rappresentata da un gruppo di grandi cartoni preparatori per vari affreschi monumentali –  che Sironi realizza le sue creazioni più potenti, ma anche quelle più compromesse con il regime. Lui stesso teorizza il ritorno alla grande decorazione murale, intesa come opera sociale, pubblica, lontano dalle dinamiche mercantili di galleria. È di certo la dimensione più consona per le figure massicce e rigide, austere, di Sironi, e il compimento della riformulazione di un linguaggio italiano che deriva dalla scultura arcaica, dai bassorilievi tardo imperiali, dai bizantini e dalle rappresentazioni allegoriche medievali.
Presenti anche i bozzetti preparatori della vetrata monumentale La carta del Lavoro, commissionata a Sironi nel 1927 da Giuseppe Bottai per il Ministero dello Sviluppo Economico di Roma, ex Ministero delle Corporazioni. Proprio in occasione della mostra la vetrata è stata restaurata.
Una sezione è poi dedicata al doloroso periodo del dopoguerra, che porterà a Sironi il soprannome di pittore tragico: inizialmente condannato a morte dai partigiani, Sironi perde la sicurezza delle commissioni di regime, e sul piano personale è prostrato dalla perdita della giovane figlia Rossana – di questo periodo è lo scurissimo La penitente. Cerca di reinventarsi, frenetico e disordinato, perfino saggiando inediti percorsi astratti, fino alle inquietanti, desolate Apocalissi del 1961 (chissà se anche connesse con le allora diffusissime preoccupazioni di una deriva nucleare della guerra fredda).
Ma è pur sempre una mostra del Vittoriano, e non potevamo lasciarvi completamente a digiuno di aneddoti strappalacrime: Il mio funerale, dipinto un anno prima di morire da un Sironi ormai in cammino sulla strada dell’oblio, raffigura la piccola carrozza con il suo feretro, seguita da un gruppetto di poche persone. Sul fondo decorazioni enormi, altissime, come i suoi affreschi murali. Forse l’artista va, ma la sua arte resta.
Mario Finazzi
Dal 4 ottobre 2014 all’8 febbraio 2015
Mario Sironi 1885 – 1961
Complesso del Vittoriano, 
via San Pietro in Carcere, Roma
Orari: 9-30-19,30 dal lunedì al giovedì. Fino alle 23 venerdì e sabato. Fino alle 20.30 domenica. 
Info: 066780363

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui