23 dicembre 2014

Impara l’arte. Rispettala

 
Un “undicesimo comandamento” che non è bon ton, ma semplice rispetto. Per tutta l’arte, e non solo per quella contemporanea. Note a margine di uno sciocco “videogioco”, che se la prende con un ipotetico dipinto di Monet

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La lista è lunghissima. Dal mitomane che prese più volte a martellate Fountain di Duchamp fino al sedicente artista che si definiva della corrente “Yellownista”, e che l’anno scorso imbrattò Rothko alla Tate Modern annunciando che grazie al suo gesto l’opera avrebbe assunto ulteriore valore. Poi ci sono i casi più “blandi”, ovvero gli sputi ai Fontana o ai Manzoni, denunciati più volte dai conservatori.  
“Esigo elletroshock e climax di lavori irritanti e sublimi. E, ripensando a Burke, vorrei anch’io, come lui, essere terrorizzata e violentata dall’opera d’arte; tremare, soffrire o ridere a crepapelle, ma non sentirmi annoiata. È forse troppo chiedere all’arte emozioni e stupore?”. Lo scriveva in un’ormai lontanissimo 1981 una delle voci critiche italiane più graffianti e troppo prematuramente scomparsa: Francesca Alinovi. Il problema, a quanto pare, è che oggi invece il pubblico di farsi violentare dall’opera non ha la benché minima voglia. Cerca invece, più probabilmente, rassicurazione. Ma l’arte, in tutte le sue forme, non è mai stata rassicurante e, come sappiamo, se l’inconscio se non può “domare”, cerca di distruggere ciò che non conosce. 
A che serve questa lunga digressione? A fare le pulci a un giochetto del web, brutto graficamente quanto sciocco. Se vi fate un giro su http://punchamonet.gallery/ capirete perché, ma potete farvi un’idea anche solamente con il nome “Punch a Monet”, ovvero “Pugno a Monet”. Siete in crisi per un esame universitario sull’Impressionismo o a causa di un/a fidanzato/a troppo appassionato/a che vi tormenta con le sue storie dell’arte? Allora mollate un bel cazzotto a Monet tramite la barra spaziatrice, e danneggiatelo per bene: magari la vostra sete di vendetta si placherà, evitando di fare danni reali nei musei, ed evitandovi qualche tempo al gabbio e risarcimenti milionari. 
L’iniziativa è “merito” di Andrew Shannon, che per chi non lo ricordasse è lo stesso tizio che nel 2012 alla Galleria Nazionale d’Arte di Dublino aveva assestato un pugno a Le Bassin d’Argenteuil avec un voilier proprio di Monet, beccandosi una multa di 10 milioni di dollari e una condanna a 5 anni di carcere, e che ora ha messo online il sito con Tom Galle, Eiji Muroichi e Dries Depoorter. Il quadro da prendere a pugni è riconoscibilmente lo stesso vandalizzato nella realtà. Errare è umano, ma perseverare! 
Viene in mente De Dominicis, che a sua volta era uso ripetere che sono gli spettatori che si presentano alle opere e non viceversa. Ecco, come di fronte a una persona, possiamo scegliere se presentarci bene o male, senza differenze: né in un caso né nell’altro, è “obbligatorio” portare avanti il rapporto. Se le opere d’arte “tormentano” troppo, questi signori poco gentili sarebbe il caso che evitassero il contatto, proprio come chi è allergico al calcio evita stadi e canali nazionali la domenica sera. 
Forse, per taluni, la lezione non dovrebbe essere di avvicinamento, ma piuttosto relativa a quella distanza di sicurezza che spesso i cordoni metallici non riescono a tenere a bada, e che permettono un avvicinarsi pericoloso degli sguardi e delle dita, i pugni per fortuna meno spesso, sulle tele. 
Amare l’arte non è obbligatorio, anzi. Ma il rispetto si che lo è. Nella vita, come forse in qualche sciocco “videogioco”.

1 commento

  1. Più che giusto rispettare l’arte ma l’arte rispetta le persone?

    quanto di quello che oggi si vede è solo un uso banale di tematiche spesso civili e sociali al solo scopo di promuovere se stessa senza apportare un vero sviluppo?

    poi si parla tanto di arte e società ma non suona strano vedere che opere d’arte vengono commercializzate con lauti guadagni dopo essere state promosse attraverso investimenti pubblici (quali musei o eventi vari) senza che questi ne beneficiano, perché non lasciare tutto in mano ai privati e dirottare queste risorse in progetti più collettivi?

    Ad esempio proprio il caso di Rothko dovrebbe farci pensare uno che evitava in modo assoluto compromessi oggi è gestito come un hedge fund … tristissimo

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