03 gennaio 2015

Un Gemito dall’Ottocento

 
Il secolo del nostro Risorgimento fa da sfondo alle due mostre presentate alla GAM di Roma. Con pittori oggi non considerati di spicco, sebbene autori di opere a volte strepitose

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A giudicare dal successo ottenuto al cinema da due recenti film di Mario Martone, Noi credevamo (2010) e Il giovane favoloso (2014), dedicati rispettivamente alle vicende storiche del Risorgimento e alla vita di Giacomo Leopardi, si direbbe che il pubblico sia tornato ad appassionarsi all’Ottocento italiano. È dunque sotto una buona stella l’iniziativa della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale di allestire, con opere della propria raccolta, una mostra interamente dedicata agli artisti dell’Ottocento. 
Bisogna sapere, infatti, che la Galleria possiede più di 3mila opere, tra dipinti, sculture e grafica, che vanno dalla metà dell’Ottocento al secondo dopoguerra, ma lo spazio espositivo a disposizione permette di rendere visibile al pubblico solo una minima parte di questa vasta collezione. Nel 2011, anno della riapertura nella rinnovata sede dell’ex monastero delle Carmelitane Scalze, in Via Francesco Crispi, la Galleria ha perciò avviato un programma di rotazione delle proprie raccolte attraverso una serie di mostre dedicate a temi specifici. 
L’esposizione attuale, dal titolo “Artisti dell’Ottocento: temi e riscoperte” (fino al 14 giugno 2015), curata da Cinzia Virno, presenta più di cento opere, molte delle quali finora mai uscite dai depositi. Nell’ambito della mostra, inoltre, due sale al terzo piano ospitano un eccezionale focus sul grande scultore napoletano Vincenzo Gemito (1852-1929), dal titolo “La collezione Gemito” (fino al 1 marzo 2015), con una trentina di opere di scultura e grafica. 
Studio Preparatorio per il Cavallo Di Alessandro Magno (1912-1920), Matita Su Cartone, Mm 1540x1600
«La mostra – precisa Cinzia Virno – presenta lavori che vanno dalla metà del XIX secolo fino agli anni Venti del Novecento, di artisti che sono nati e si sono formati nell’Ottocento. Tutte le opere esposte appartengono alla Galleria, tranne otto dipinti concessi in prestito da un collezionista di Pescara, che possiede una delle più note e importanti raccolte di pittura meridionale dell’Ottocento e colleziona anche splendide cornici». 
Tra le opere provenienti da questa collezione di Pescara spicca, per il suo fascino conturbante, il dipinto La strega (1864-66) del pittore Michele Cammarano, uno dei maggiori esponenti del verismo napoletano. L’artista era rimasto impressionato dal libro La sorcière, dello storico Jules Michelet, pubblicato in Francia nel 1862. Nel suo capolavoro “protofemminista”, Michelet narrava con dolente partecipazione la storia della donna, che da sacerdotessa della natura, fata, maga, sibilla, viene declassata dalla Chiesa al rango di strega. E Cammarano appare influenzato da questa lettura appunto nella scelta di raffigurare la sua strega giovane e bella; una popolana dai lunghi capelli bruni scarmigliati e lo sguardo folle, che corre in una landa tetra e desolata, dove ha raccolto ossa ed erbe per i suoi filtri magici. Dalla stessa collezione provengono una magnifica Veduta di Pompei (1864) dipinta da Alessandro La Volpe, e due seducenti figure femminili di Domenico Morelli, una è la protagonista del quadro L’oro di Pompei (1863-66) mentre l’altra, Cosarella (1878), è la modella Anna Cutolo, futura moglie di Gemito. 
Georges Paul Leroux, Passeggiata al Pincio (1910), Olio su tela, cm. 217x430
Il percorso espositivo si articola in sei sezioni tematiche: l’arte a Roma; il Ritratto; Visione e sentimento del Nord; Atmosfere meridionali; Classicismo e richiamo all’antico; Intimismo, quotidianità e scene di vita popolare. Tra le riscoperte si segnala la grande tela Passeggiata al Pincio (1910), una scena  “cinematografica” dipinta con tecnica divisionista dall’accademico di Francia Georges Paul Leroux. Mai esposta prima, l’opera è stata scelta quale immagine della mostra. E accanto a capolavori quali Busto di Signora (1907-12) di Rodin o La ninfa del bosco (1862-97), dipinta da Nino Costa in oltre trent’anni impiegando più di venti modelle, sono davvero tante le opere sconosciute, dalla Santa Cecilia (1890-1900) in chiave preraffaellita di Erulo Eruli (restaurata per l’occasione), a L’indovina (1874-84) di Adriano Ferraresi. Notevole è poi la scelta di una serie di ritratti e autoritratti di artisti, tra i quali Ettore Ximenes raffigurato da Corcos, Carlandi da Rosa, Giovanni Fattori da Micheli e gli autoritratti dello stesso Ximenes, di Apolloni, Mancini, Joris.  
L’esposizione di Gemito valorizza il prezioso nucleo di lavori dell’artista conservato alla Gam. Del grande scultore verista, apprezzato anche da de Chirico e Savinio, come ha evidenziato Federica Pirani nel suo saggio in catalogo, la mostra presenta un’importante serie di ritratti (Giuseppe Verdi, Mariano Fortuny, Cesare Correnti) e alcuni lavori sul tema del giovane pescatore. Tra i capolavori colpisce l’intenso ritratto in terracotta della moglie Anna (1886). La struggente vicenda umana di questa bellezza femminile minata da una grave malattia è raccontata da Maria Catalano nel suo saggio in catalogo. Ma anche l’esistenza di Gemito, abbandonato appena nato nella ruota dell’Annunziata e adottato da una coppia senza figli, è segnata dal dolore. 
Antonio Mancini, Autoritratto (1923), olio su tela, AM 44
Nel 1887, anche a causa di alcune importanti commissioni che gli procurano un forte stato di ansia, ha un esaurimento nervoso e dopo un breve ricovero in manicomio si chiude in casa per oltre vent’anni. Durante questo lungo periodo di isolamento soffre di allucinazioni e tra i vari personaggi storici con cui parla nei suoi deliri c’è Alessandro Magno. Tornato alla vita pubblica, lavora a un monumento equestre del condottiero macedone, che non porterà mai a termine. A questo importante progetto è dedicata l’ultima sala, dove si possono ammirare un grande disegno per il cavallo di Alessandro, un cavallo ligneo a grandezza naturale con le articolazioni mobili e una serie di teste dell’eroe, nelle quali Gemito sostituisce al verismo uno stile di ispirazione classica.
Due cataloghi editi da De Luca accompagnano le due esposizioni con saggi critici della curatrice e di Carmen Andretta, Ombretta Bracci, Giancarlo Brocca, Manuel Carrera, Maria Catalano, Beatrice Luzi, Giulia Perin e Federica Pirani.

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