05 febbraio 2015

Paolo Salvati

 

Nato a Roma nel 1939 e scomparso nel 2014, pubblichiamo questa intervista inedita a Paolo Salvati, pittore affascinato da Turner ma anche liutaio, incisore e ritrattista "en plen air", in piazza Navona

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Maestro indipendente da formalismi di scuola accademica, i suoi riferimenti sono William Turner,Claude Monet, Vincent Van Gogh, Henri de Toulouse Lautrec. Emerge al di fuori di una serie di schemi anche commerciali grazie alla qualità dell’idea e all’esclusiva ricerca dell’opera prima, sempre attuale. Dal 1980 progetta ed esegue una serie di chitarre classiche da concerto, grazie a una passione per la musica classica che attira molte energie verso il mondo della liuteria, ma Paolo Salvati è stato soprattutto un esempio per l’eccellenza tecnica nelle arti figurative, e si è formato anche grazie all’esperienza di ritrattista disegnatore, miniaturista, dal 1973 al 1993 in Piazza Navona a Roma. Un angolo della Capitale teatro di innumerevoli passaggi e incontri di artisti pittori, attori e politici, e allo stesso tempo una porzione di città alla quale si lega con evidenza la storia dell’artista.

Piazza Navona è conosciuta dalla gente anche come luogo di passeggio, vissuto e fotografato: quale il particolare che ha conservato nella sua mente?

«Il cavalletto si posizionava la mattina presto per ottenere il posto migliore, il cielo tra i campanili di Sant’Agnese in Agone era sempre il frammento e il piacevole dettaglio della mia libertà. Vendevo alcune miniature da me dipinte, dipingevo paesaggi di fantasia, marine, vedute romane. In breve tempo sono passato al ritratto, per me più facile da eseguire, i materiali al seguito erano meno ingombranti, si lavorava decisamente meglio. Gli anni fine ’70 e inizio ’80 erano tempi in cui si poteva ancora vivere e far vivere di arte, la storica piazza romana permetteva agli artisti di eseguire dipinti, ritratti o caricature artistiche per un discreto compenso. Con il passare degli anni ’80 si iniziò ad avvertire una decadenza culturale ed economica, sempre più marcata che trasformò la strada in un rifugio di troppi».

Ha incontrato e conosciuto molti artisti, intellettuali, attori, pittori e poeti Italiani e stranieri: qual è stato il suo rapporto con i personaggi che l’hanno particolarmente colpita, chi di loro ricorda con piacere?

«Piazza Navona è un luogo di passaggio, ma in particolar modo la sera era un luogo di incontro, dove ho conosciuto, grazie al mio lavoro, il principe Agostino Chigi, Vittorio Sgarbi, Giuseppe Avarna. Ricordo con affetto gli amici artisti, Zandi Zandieh, Gian Provvè, Aziz Karim, pittori, ritrattisti e caricaturisti. Queste persone e personaggi sono nella mia memoria, il ricordo forte di anni difficili ma appunto indimenticabili, il piacere è l’aver vissuto tutti nel bene o nel male».

Qual è la definizione che lei darebbe del termine “artista”?

«Eroe! Perché nell’era Moderna è colui che compie uno straordinario atto di coraggio, che comporta il consapevole sacrificio di se stesso, all’unico scopo di proteggere il bene altrui o comune. Vivere di arte è già un atto di coraggio, si sacrifica tutto della propria vita, si tende a proteggere l’opera che esprime il messaggio intimo. L’opera compiuta è il dono che l’artista fa alla comunità mondiale attraverso la propria comunicazione personale, fruibile per tutti per il bene comune, troppo spesso mai ricompensata abbastanza e per tempo».

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