11 febbraio 2015

LA LAVAGNA

 
Sul sistema dell'arte e altre storie
di Luca Rossi

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Premetto che la critica e le analisi critiche in Italia non pagano. Ossia non interessano a nessuno, sarebbe come chiedere al parlamento di farsi analizzare da Marco Travaglio, nel momento in cui fuori dal parlamento non ci sono cittadini. Perché farlo?
A me piace andare contro corrente e tra un caffè e un cappuccino al bar della vita, scrivo queste poche righe, consapevole del fatto che le dinamiche del sistema, alla lunga, diventano opera e contenuto. L’arte contemporanea presiede potenzialmente a tutto, e in Italia viene tenuta come un’opportunità nel cassetto.
A partire dal 2009 per colpa della crisi economica, ma non solo, è iniziata a scoppiare la bolla speculativa che caratterizzava il mercato interno del contemporaneo: coloro che avevano acquistato “opere d’arte contemporanea” si sono accorti che le opere che possedevano non valevano in termini di prezzo quello che le avevano pagate. 
Mentre nel caso dei titoli finanziari il risparmiatore raggirato tende a protestare (come direbbe Albert Hirschman, farebbe “voice”), nel mercato dell’arte il collezionista tende a stare zitto, fondamentalmente per tre ragioni: in generale il collezionista di arte non ha problemi nello spendere 15 invece che 5 anche se l’opera valeva 3; sta zitto per non essere considerato stupido e perdere in status sociale; e infine per avere la speranza di poter rivendere la propria opera acquistata ad un prezzo gonfiato. Anche coloro che hanno acquistato la propria opera perché gli piaceva e perché gli trasmetteva “emozione”, si accorgono che il prezzo pagato era comunque eccessivo. Questa bolla speculativa ha depresso il mercato interno e ha portato le migliori gallerie italiane a lavorare solo sul mercato estero, proponendo quasi esclusivamente artisti stranieri. Per queste gallerie l’Italia è diventata solo una base esotica, ma il vero mercato si gioca nelle grandi fiere internazionali. 
Lo Stand della galleria François Ghebaly (Los Angelses) con le opere di Channa Horwitz ad Artissima 2014 vincitore del primo Premio Sardi per l'Arte Back to the Future - ph: Giorgio Perottino
Allo stesso tempo la crisi economica ha depresso le iniziative interne di promozione e divulgazione dell’arte contemporanea. C’è molto meno denaro da investire in Premi, Mostre per Giovani Artisti, Residenze, e altre occasioni in cui l’artista giovane e meno giovane possa sperimentare e allenare il proprio lavoro. Questa tendenza ha drasticamente diminuito le opportunità per il sistema interno di esercitare favoritismi ed idolatrare un certo gruppo di artisti (gli anni 2000 sono stati caratterizzati dall’asse Venezia-Milano-Torino con i “garuttini” che facevano da padrone). Ma cosa ben più interessante è stato rilevare che quei favoritismi non sono serviti a nulla, basta andare a vedere oggi i “garuttini” di prima, seconda e terza generazione. Ma il problema non è rivendicare quello che è successo, ma individuarne le motivazioni, anche rispetto al presente e al futuro. A mio parere il problema è di tipo formativo, che non significa educare e dire alle persone cosa pensare, ma significa creare le condizioni ideali per formare e argomentare uno spirito critico. Questo significa stimolare e formare spettatori, critici, curatori e artisti. Significa ritrovare e rivitalizzare le ragioni e le motivazioni dell’opera d’arte, come motore centrale di un sistema che ruota attorno. Se l’arte contemporanea vince questa sfida, e potrebbe farlo, può diventare molto di più di una modalità raffinata per fare pubblicità all’istituzione pubblica o privata di turno. Un sistema dell’arte vitale deve vedere tre componenti attive: spettatori, artisti e addetti ai lavori. 
Z2O - Sara Zanin, lo stand della galleria ad Arte fiera
In questo momento in Italia gli spettatori non esistono, e troviamo unicamente artisti, tanti, intercambiabili e quindi debolissimi, e addetti ai lavori, tanti e spesso improvvisati, non formati adeguatamente da scuole vetuste, e presi in prestito da settori limitrofi. Fuggire e aspirare all’estero non conta nulla, un albero non può fuggire dalle proprie radici, e il caso di successo “Cattelan” dimostra che l’unica strada è semmai quella di affrontare ed esorcizzare le proprie radici, anche a costo di farlo in modo cinico e opportunistico. Ogni luogo è internazionale per definizione, e il sistema Italia solo partendo da questa constatazione, vissuta fino in fondo, potrà togliere dal cassetto la grande opportunità dell’arte contemporanea, come disciplina capace di sperimentare e allenare una sensibilità che nella vita serve a tutto.   

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