25 febbraio 2015

Il sentimento complicato verso quella cosa chiamata arte. Angela Vettese chiude i “Martedì Critici” del Madre

 

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“Sintomatologia dell’amore per l’arte. E dei relativi rimedi”. Il libro non scritto di Angela Vettese, sorta di enciclopedia borgesiana che comprenderebbe virtualmente tutti i testi possibili in una sola frase, avrebbe questo titolo e sottotitolo. Per il critico d’arte che, «forse per invidia», non vuole definirsi curatore – nonostante una biografia professionale nutrita di incarichi come Presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, Direttrice della Galleria Civica di Modena, Direttrice della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano – l’unica metodologia per decodificare la peculiare filosofia visiva che si manifesta nell’opera è «innamorarsi ogni giorno» delle espressioni e dei significati nascosti nelle forme. E se, comunemente, si accusa l’arte contemporanea di respingere invece di attrarre – quare id faciam… – forse è perché la consapevolezza dell’opera è una pulsione che richiede tempi instabili e sviluppa manie complesse, ritmi e abitudini del pensiero ardui da sostenere, «in questa epoca che scorre al di fuori della teleologia, nel trauma della tecnologia e dell’oblio».   
Angela Vettese, intervistata da Alberto Dambruoso e Guglielmo Gigliotti – curatori dei “Martedì Critici” del MADRE, programma di incontri pubblici con i protagonisti del mondo dell’arte contemporanea – parla di ciò che chiamiamo arte, nella definizione di Dino Formaggio – «ho avuto la fortuna di averlo tra i miei maestri» – con la naturalezza e l’immediatezza del dialogo maieutico. Così, si è svolta la trama potenzialmente infinita del racconto dell’arte contemporanea, una lunga storia di sistematizzazione e criticità che inizia dalla nuova prospettiva simbolica dell’assemblaggio di Picasso e Braque e del montaggio filmico di Ėjzenštejn, passa per la «coerenza» di Warhol nell’indagare il meccanismo dell’immagine, e arriva al «trasformismo di oggi, che pervade l’ambito artistico, sempre più manipolato, un fenomeno tanto eticamente dubbio quanto interessante». Una vicenda vissuta in prima linea, dalla cattedra dell’università al palco della politica, attività che Vettese ha intrapreso dal 2013, come assessore alla Cultura di Venezia – «che, come Napoli, è città dell’imprevisto, del mascheramento e, alla fine, è diventata un brand per le crociere» – ma sulla cui efficacia ha opinioni contrastanti. «In Italia abbiamo una pessima tradizione di gestione della cultura», delle tipicità, del paesaggio, della storia e del futuro, termini strettamente collegati tra loro, come dimostrano «la questione delle zone costiere della Campania e del cimitero di ciminiere di Marghera». 
La scrittura, la critica storica, la didattica estetica, sono i campi nei quali Vettese si impegna quotidianamente e con passione. Sui suoi libri, come “Capire l’arte contemporanea” (Allemandi, 2013) e “Si fa con tutto” (Laterza, 2012), si formano le ultime generazioni di studenti e, dalle pagine del Sole 24 Ore, i suoi articoli raggiungono un’ampia fascia di lettori. Una questione di qualità della ricerca e di responsabilità della comunicazione. Per questo, il giudizio sui «giudici» delle opinioni e dei gusti è particolarmente severo, «si fanno danni incalcolabili e anche Rosalind Krauss, che, comunque, adoro, alcune volte parla più di quello che le interessa che di ciò che è rilevante». Si parla di arte, quindi, di forme che non possono lasciare indifferenti, nel bene o nel male. Proprio come l’amore, che è fatto anche di momenti aspri, come quella «irritazione iniziale, che mi fa capire quando una cosa mi interessa, come quando vidi Blow Up e uscii dal cinema prima della scena finale della partita di tennis». (Mario Francesco Simeone) 

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