26 febbraio 2015

Le verità nascoste nel digitale

 
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo fa centro. Presentando la prima personale di Avery Singer. Artista americana tra le più interessanti degli ultimi anni

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Prosegue l’intenso programma di mostre e collaborazioni internazionali per le celebrazioni dei vent’anni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Questa volta tocca ad Avery Singer, newyorkese, classe 1987 (“Pictures Punish Words”, fino al 12 aprile). A introdurla è una delle più autorevoli curatrici nel panorama dell’arte contemporanea, Beatrix Ruf, fresca di nomina come Direttore artistico allo Stedelijk Museum di Amsterdam. «La prima volta che ho visto le sue opere mi sono chiesta che cosa stessi guardando, un dipinto, un’elaborazione a stampa, … i suoi quadri sollevano interrogativi sul modo in cui le informazioni digitali che ci circondano possono concretizzarsi», spiega la curatrice. Il fulcro dei suoi lavori sta nel porre domande sull’impatto dei mutamenti di senso prodotti dal digitale e dal virtuale sulla sfera artistica oggi, anche e soprattutto sul mezzo pittorico. 
Nonostante la giovane età, la pittura di Avery Singer raccoglie un’eredità importante, quella delle avanguardie del primo Novecento: del Futurismo, del Cubismo, del Costruttivismo, ma d’altronde è lei stessa a dire che dopo l’Espressionismo astratto non è stato più possibile vedere e pensare l’arte come prima. Avvicinandosi alla pittura, il suo intento è creare uno spazio pittorico differente e il computer è il medium perfetto per farlo. L’artista costruisce composizioni spaziali complesse, con SketchUp, un programma di grafica utilizzato in architettura per la modellazione 3D. Lo schizzo generato al computer viene poi proiettato su una tela o su un pannello schermando le forme con del nastro adesivo di carta, e stendendo la pittura con l’aerografo con un procedimento ossessivo, compulsivo, lento e accurato che può richiedere settimane di lavoro per essere completato. 
Avery Singer, courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Le opere finite sono spesso lunghe più di tre metri, una dimensione che amplifica associazioni spaziali, sequenze temporali e allusioni teatrali e letterarie come in Gerty MacDowell’s Playbook (2014) che richiama una scena dell’Ulisse di James Joyce. La pittura ha un valore intrinseco, indipendentemente dalla rappresentazione reale degli oggetti. Nei lavori di Avery Singer si scorgono forme più riconoscibili che ricordano figure umane in movimento, pose che evocano azioni, allusioni allo studio e alla performance come in Happening (2014) in cui un gruppo di persone è rappresentato nell’atto del fare arte come nella documentazione fotografica che l’artista trova nel corso delle sue ricerche sull’arte performativa degli anni Sessanta. 
Singer ci mostra rituali e schemi sociali, e ci fa conoscere gli stereotipi legati alle figure dell’artista, del curatore, del collezionista e del critico. In questo contesto l’artista si appropria dei luoghi storicamente dedicati alla produzione dell’arte: lo studio, l’accademia di belle arti e lo spazio istituzionale che nutrono il mito romantico dell’artista. Tutto ha inizio dalla consapevolezza che la pittura è in grado di storicizzare qualsiasi evento, allora perché non l’imbarazzo che si crea durante uno studio visit per esempio? L’ossessione per la piattezza e il non colore sono un modo per visualizzare lo spazio ed evitare alcune delle caratteristiche tradizionali della pittura, per cercare di rovesciare i clichè della pittura. L’uso del bianco e nero allo stesso tempo crea una distanza dal realismo, le ombre danno l’illusione del movimento, ma è solo un’illusione contrapposta al realismo. «Il movimento è sempre stato un problema per me – confessa l’artista – per questo concepisco le mie immagini come delle nature morte digitali». 
Avery Singer, Happening, courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
L’astrazione come metodo per reimmaginare lo spazio pittorico. Le superfici totalmente piatte modellano immagini che sembrano provenire da un tempo lontano, ma contemporaneamente evocano la nostra abitudine/ossessione di guardare uno schermo. La maggior parte dei suoi dipinti evoca la tecnica cinematografica del footage – il padre dell’artista lavorava come proiezionista al MoMA di New York – vecchie fotografie e documenti d’archivio. I quadri di Singer sottolineano i luoghi comuni dominanti dell’arte contemporanea, sovvertono le aspettative visuali dello spettatore, l’ironia sul sistema dell’arte e le sue convenzioni sono compensate dalle complesse considerazioni sulla storia dell’arte e sulla cultura visiva. Le caratteristiche estetiche, ma anche i temi, dei suoi quadri contengono sempre riferimenti alla storia dell’arte, oltre che alla loro stessa genesi, cioè alle narrazioni e ai problemi connessi alla creazione di opere d’arte o immagini, a come l’esperienza digitale si traduce nel mondo reale. 
Avery Singer, Pictures Punish Words, vista della mostra, courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Avery Singer è nata nel 1987 a New York, dove vive e lavora. Si è formata alla Cooper Union e alla Skowhegan School of Painting and Sculpture. Nel 2013 ha avuto la sua prima personale, “The Artists”, presso la galleria Kraupa-Tuskani Zeidler di Berlino. Ha esposto in numerose collettive e il suo lavoro è incluso nella prossima New Museum Triennial. “Pictures PunishWords” è la sua prima mostra istituzionale prodotta in collaborazione con la Kunsthalle di Zurigo.
E per celebrare al meglio i vent’anni, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo propone altre due mostre: “Fobofilia. Opere dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo” a cura di Irene Calderoni e “United Artists of Italy”, un progetto di Massimo Minini che negli anni ha raccolto una collezione di ritratti di artisti eseguiti dai più significativi fotografi italiani, anche queste visitabili fino al 12 aprile.
Marianna Orlotti

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