05 marzo 2015

La Biennale di Okwui Enwezor: ecco temi e artisti, per dare una risposta ai nostri “Tempi incredibili”

 

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Una mostra corale, di “politica emozionale”, per rispondere a questi nostri “tempi incredibili”. Ecco il vero tema su cui si gioca la Biennale costruita da Okwui Enwezor in dialogo con gli artisti, come lui stesso ha ricordato: «Se ci sarà un’eredità a questa Biennale sarà il fatto che molti dei lavori saranno assolutamente originali».
C’è visionarietà negli ingredienti della 56esima Biennale, ispirata dall’Angelus Novus di Klee e dalla volontà di ricostruire e progettare nuovi scenari di futuro.
Tre i “filtri” con cui guardare 136 partecipazioni (di cui 89 per la prima volta) da 53 Paesi, come aveva già annunciato il direttore: Il disordine; La durata epica e La vitalità, con una spiccata sensibilità rispetto al presente e articolando nuovi strumenti di interpretazione.
Un’origine di tutto è dato dalla Biennale del 1974, che si espose criticamente nei confronti del Cile e del regime di Pinochet, e che dunque assunse una posizione politica. Un episodio quasi dimenticato, ma che resta uno dei tentativi più espliciti in cui una mostra si prende la briga di cambiare scenario storico.
Per “All the world’s futures” Enwezor sottolinea l’importanza dell’idea dell’ “Arena” piattaforma disciplinare dal vivo per la lettura dei tre volumi del Capitale di Marx, progettata dall’architetto David Adaje, che sarà utilizzata dal 6 maggio al 22 novembre ogni giorno, all’interno del Padiglione centrale dei Giardini. Un’azione che secondo il direttore diverrà una sorta di “oratorio”, per riflettere anche sulla lettura errata che questo testo fondamentale dell’uomo ha subito in passato, soprattutto con la nascita del Capitalismo.
Ad aprire la mostra, ai Giardini, saranno invece i Raqs Media Collective mentre Isa Genzken sarà installata sopra il Padiglione Austriaco, poi Philippe Parreno e Oscar Murillo sono solo alcuni dei nomi – anzi dei luoghi «dove vedere qualcosa» secondo Enwezor – prima di entrare e scoprire Smithson, che vedrà ricreato il suo celebre albero sradicato del 1969, e poi Boltanski, Abdessemed, giovani artisti e una serie di “stanze speciali”, come si faceva alle Biennali degli anni ’20,  di cui una sarà dedicata a Chris Marker.
Andiamo avanti con Alexander Kluge con il suo film epico di 10 ore tagliato a 6 per la Biennale, Walker Evans, Ellen Gallagher, Huma Babha, Teresa Burga, Gursky per la dialettica tra capitale e manodopera, Marlene Dumas con una serie di piccoli dipinti mai presentati prima e a cui lavora da decenni che fa quando si sente male, che non sa cosa dipingere, Hans Haacke con una raccolta delle sue opere dal ’69 al 2015, fatte sempre sullo sfondo delle condizioni socioeconomiche del suo Paese, Glenn Lygon, Adrian Piper, Jhon Akomfrah, di cui è stato prodotto il film Vertigo Sea, mostrato con qualche spezzone in anteprima.
All’Arsenale si torna alle parole con “intensità”, con la loro capacità di “illuminare”, con pezzi di Allora & Calzadilla, che avranno un nuovo lavoro a 12 voci che verrà eseguito alcune volte a settimana, e una serie numerosissima di opere grafiche. E poi Melvin Edwards, Terry Atkins, Tania Bruguera con un pezzo dal vivo presentato a L’Avana e censurato dalle autorità che qui verrà riproposto con 4 performer al giorno, Katharina Grosse con un pezzo nuovo, Chris Ofili, nuovi dipinti di Baselitz, Cao Fei, Victor Mann, Jason Moran con due sculture nuove, Steve McQueen con un pezzo nuovo, l’ex padiglione britannico Jeremy Deller, Xu Bing, Harun Farocki con i suoi 87 film: «è così che la mostra diventa qualcosa di vivo, e che cambia durante la sua stessa durata», ricorda Enwezor che continua: «è stato un viaggio intenso parlare con gli artisti, discutere, pensare alla mostra e a progetti diversi». E che ha come unico tratto in comune con quella del suo predecessore, Massimiliano Gioni, il fatto di essere ciclopica. E decisamente impegnativa anche per la visita del pubblico.

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