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Strana storia quella del grande canneto percorribile, in verticale per un’altezza di 25 metri, al Testaccio. Big Bambù doveva essere un’opera permanente. Poi è stata transennata. Poi riaperta.
Oggi, invece, si annuncia che tra nemmeno una settimana chiude definitivamente. E la corsa dell’Amministrazione di Roma Capitale ai “Venghino Signori che sono gli ultimi giorni” (fino all’11 aprile) per interagire con un’opera che Roma non vedrà più è abbastanza paradossale. E a questo punto ci interessa ben poco se a godere dell’intervento al MACRO Testaccio degli artisti statunitensi Mike e Doug Starn sono state quasi 100mila persone (96mila).
Realizzata per la sesta edizione di Enel Contemporanea, programma di arte pubblica a cura di Francesco Bonami volto a una riflessione sull’energia attraverso l’arte, nel 2012, Big Bambú è (o bisogna dire era?) una gigantesca installazione site specific: un intreccio di 8mila aste di bambù messe in piedi con un metodo tradizionale di incastri; un organismo vivente liberamente percorribile. E, cosa ancora più importante, era stata donata alla città di Roma da Enel, come celebrazione dei 50 anni dell’azienda. Un belvedere sulla città, attraverso l’arte contemporanea, in una – o forse nella sola – opera di arte pubblica permanente della città eterna. La colpa? Riconducibile al fatto che si tratta di un’opera complicata, che richiede grande manutenzione, messa in sicurezza, guardianìa costante e dove il pubblico deve essere accompagnato e abbigliato in modo aadeguato. Nello smantellamento del vecchio Macro, che ha perso anche il contributo di Enel, anche questa è una parte da levare. Via il dente, in questo caso resta solo un altro forte dolore.