08 marzo 2015

8 marzo/In ricordo di Pippa Bacca

 
di Alessandra Angelucci

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Nessuna retorica in un giorno come questo. Soltanto il ricordo e un abito da sposa. Bianco come latte di madre e come il sogno di potere incarnare un’esistenza votata all’uguaglianza fra i sessi e le culture. Un’utopia, direbbe qualcuno. Un obiettivo etico e morale, secondo qualcun altro. L’arte è lo strumento necessario, aggiungerebbe un’altra voce. E intanto una nuova pagina viene scritta: c’è una macchia rossa al centro e non è il simbolo di un tramonto, neppure l’elogio della lentezza. 
Nessuna retorica in un giorno come questo: Pippa Bacca – al secolo Giuseppina Pasqualino Di Marineo – avrebbe pensato lo stesso. Anche quell’8 marzo del 2008 in cui da Milano diede avvio con Silvia Moro alla performance itinerante “Spose in viaggio”: vestire l’abito bianco che incarna l’identità femminile primigenia e attraversare undici paesi devastati dai conflitti armati per promuovere la pace. Guardava a Gerusalemme, Pippa, ma la sua ultima tappa divenne la Turchia: l’autostop, il velo bianco che copre il capo e l’abito nuziale che incarna il fiore del giglio. La fiducia che si trasforma in illusione, la speranza che trasmuta in carne fragile: un progetto artistico che si interrompe troppo presto. Pippa Bacca diede il suo ultimo saluto a Gebze, poiché quella terra divenne il suo talamo e il suo altare sacrificale. Era il 31 marzo 2008. 
Basta addentrarsi tra le pieghe di questa sua ultima esperienza artistica per capire che Pippa Bacca masticava la vita, la faceva sua in ogni dove: nei suoi gesti, nei suoi lunghi viaggi per il mondo, nelle sue performance. Sotto la sua pelle scorreva il sangue di una temeraria “Giovanna D’Arco” mentre i suoi progetti erano baci scagliati altrove. Come tutta la sua ricerca del resto: guardava oltre “il fiume”, Pippa Bacca, oltre il confine flebile che disarciona le coscienze, oltre la fragilità umana che parla di differenze. Amava la natura. A lei non interessava la retinica prospettiva che àncora l’uomo in superficie impedendogli di vivere profondamente. Lei si proiettava verso l’altro sull’onda di una fiducia reciproca che riteneva possibile costruire: i confini politici e geografici erano per lei bandiere da sventolare per parlare di un possibile ritorno al rispetto di diritti universali: “Spose in viaggio” portava con sé questa missiva. E non è un caso che l’artista evocasse la “Ballata delle donne” di Eduardo Sanguineti ogni qualvolta voleva commentare il suo obiettivo: «Perché la donna non è cielo/ è terra/ carne di terra che non vuole guerra». Il viaggio di una sposa speciale, dunque, verso un sogno forse ancora oggi irrealizzabile, ma che custodiva in sé la forza del volo d’Ulisse e l’umiltà cristiana di chi brucia d’amore per gli altri. 
Il suo sguardo era rivolto sempre al mondo femminile e a quell’affondo in una declinazione contemporanea dell’essere donna che scardina le verità assolute di una tradizione antica e ormai anacronistica. È il tempo di un fare arte che si presenta come pratica del dono e di una gestualità tutta intima che attribuisce al velo della donna – quello nuziale appunto – un simbolo di purezza e libertà, e non certo di reclusione.
In questa giornata che si tinge della stessa luce dei girasoli di Van Gogh, risuonano ancora le parole della “Giovanna D’Arco” di De André: «Della guerra sono stanca ormai/ al lavoro di un tempo tornerei/ a un vestito da sposa o a qualcosa di bianco/ per nascondere questa mia vocazione al trionfo e al pianto». Sulla partitura di un canto che si fa poesia, viene voglia di chiedersi che sapore abbia la libertà, e pure l’uguaglianza. Ma non c’è posto per la retorica oggi, piuttosto per un giglio e per il colore verde: simboli di quella speranza che Pippa Bacca amò così tanto. 

1 commento

  1. Se l’e’ cercata.
    Questo é il modo di esprimersi( non di ragionare) di quelle numerose persone che hanno giudicato il gesto di Peppa.
    Lo hanno svilito riducendo alla stregua di atto irresponsabile quello che é stato il sogno di una ragazza che ha voluto credere un mondo in cui ancora la vita umana fosse rispettata senza per questo sottovalutare i pericoli cui andava incontro.
    Non ci resta che illuderci che il suo nome non cada nell’oblio

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