11 marzo 2015

Lartigue, eterno fanciullo

 
In mostra al MEF di Torino gli scatti di uno dei pionieri della fotografia. Arrivato tardi al successo, con la passione di raccontare il mondo. Attraverso bellissime immagini

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Quartiere Barriera di Milano, periferia nord di Torino, nell’area un tempo occupata dall’ex fabbrica Incet, “il MEF guarda il quartiere cambiare pelle e cambia la pelle del quartiere”, come dice il direttore Andrea Busto e, fino al 21 giugno, lo fa con quattro mostre molto interessanti: “Plastic days”, che espone la raccolta di opere e oggetti in plastica di Pia Incutti, forse la più grande collezionista di arte realizzata con la plastica in dialogo con Anita Molinero, artista francese che lavora con diversi materiali, tra i quali la plastica ha un ruolo rilevante. C’è poi “DAB”, che propone i progetti di venti designer selezionati in occasione della V edizione dell’omonimo concorso, ma è in particolare la retrospettiva dedicata a Jacques Henri Lartigue ad averci colpito. 
Scoperto solo nel 1963, all’età di sessantanove anni, da John Szarkowski, allora conservatore del Dipartimento di Fotografia del MoMA, JHL è considerato uno dei fondatori della fotografia moderna. Le sue immagini, scattate fin dall’età di otto anni, nascoste in album e archiviate minuziosamente come importanti reperti della memoria personale, aprirono un mondo che dava forma al ritratto della fine di un’epoca, come appariva agli occhi spensierati di un eterno fanciullo amante del divertimento. «Fondamentalmente era un amateur dotato di intuitivo talento. Ha avuto accesso all’attrezzatura migliore, aveva un padre appassionato di fotografia, era abbonato a tutte queste riviste – aveva tutti i vantaggi», scrive Kevin Moore nella sua biografia, ma non si trattava solo di questo, per tutta la sua vita egli fu in grado di cogliere l’aspetto del mondo, in qualsiasi momento, «capiva ciò che gli succedeva intorno; come le donne si muovevano, come catturare l’essenza di quel momento, qualsiasi forma prendesse», aggiunge Moore. 
Jacques Henri Lartigue, Bichonnade, Paris, 1905
La parola “dilettante” ha due significati. Nella sua accezione classica è l’opposto di “professionista” e si riferisce a colui che si dedica a un’arte per piacere personale, più che per interessi economici. In questo senso il termine spesso ha identificato i professionisti più sofisticati nel loro campo, molti dei più grandi nomi della fotografia sono stati, secondo Szarkowski amateurs «puri come i crochi di primavera» e, molti altri, anche «se a servizio durante la settimana, hanno fatto del loro meglio nel fine settimana». L’altro e più comune significato del termine identifica chi dimostra scarse capacità, poca preparazione e insufficiente impegno nel proprio lavoro. «Questa seconda tipologia di dilettanti è generalmente ostacolata dall’ignoranza del mestiere e della tradizione del mezzo utilizzato ed è quindi totalmente dipendente dal suo innato e unico, divino, unico talento e dalla sua sensibilità. Ma questo non è quasi mai sufficiente», prosegue Szarkowski. «Vi sono tuttavia alcune rare occasioni in cui un talento eccezionale, congiunture astrali e una tecnica mai usata prima, coincidono in un punto occupato da una persona ingenua e senza pregiudizi come un bambino. In questi casi i risultati possono essere sorprendenti». 
E agli inizi del Novecento JHL era per l’appunto un bambino. Tematiche e soggetti ricorrenti fissano, con estrema meticolosità fotografica, il passare del tempo e delle stagioni, delle mode, delle invenzioni meccaniche, del microcosmo familiare e di un’intera nazione, la Francia, paradigma e simbolo dell’Europa di fin de siècle. Un viaggio nel tempo e nella memoria che si snoda tra i luoghi dell’infanzia, la casa di famiglia, le passeggiate per le campagne, le vacanze estive al mare, le corse automobilistiche e le prodezze sportive, la prima moglie Bibi, fino ai grandi protagonisti dell’arte del Novecento. L’esperienza mondana è la materia del fotografo che risveglia la memoria facendo inaspettatamente riaffiorare alla coscienza tutto un mondo dimenticato; la sua capacità di idealizzare la realtà pur restandole fedele è intrisa di un senso melanconico dell’esistenza, ma sorretta da un’ironia che diviene fervido umore narrativo. La trasformazione della società francese si dispiega attraverso il punto di vista soggettivo di un narratore protagonista, a partire da un evento fortuito. 
Jacques Henri Lartigue, Renée, Biarritz ,1930
Sarebbe però riduttivo identificare l’intera carriera di Lartigue nelle immagini scattate da ragazzo. Nei suoi album il fotografo ha operato una rigida selezione cancellando anche avvenimenti e persone importanti, attraverso un instancabile opera di riscrittura della propria esistenza e della costruzione di un’immagine ideale al fine di dare un senso al proprio vissuto e di definire la propria identità attraverso un intreccio di memorie e riflessioni. Nell’ottica della memoria la poetica di JHL acquista un significato diverso dove ai ricordi della fanciullezza, alla materia viva si sostituisce una rievocazione malinconica del passato perduto di colui che, fin da bambino, ha orientato ogni suo sforzo a fermare il tempo isolando gli attimi più felici.
Marianna Orlotti

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