27 marzo 2015

I misteri che fanno tanto Codice Italia

 

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I nomi degli artisti finalmente ci sono. Possiamo dire, intanto che si è scongiurato il rischio del “Padiglione Campano” che all’inizio sembrava profilarsi. Lo è quasi per un terzo. Ma per pronunciarsi sul serio su come sarà questo Padiglione Italia della 56esima Biennale d’Arte di Venezia firmato Vincenzo Trione (campano anche lui), è opportuno vedere che cosa faranno Alis/Filliol, Andrea Aquilanti, Francesco Barocco, Vanessa Beecroft, Antonio Biasiucci, Giuseppe Caccavale, Paolo Gioli, Jannis Kounellis, Nino Longobardi, Marzia Migliora, Luca Monterastelli, Mimmo Paladino, Claudio Parmiggiani, Nicola Samorì e Aldo Tambellini. Anche se un rilievo sulla coerenza si può fare fin d’ora. Che c’entra Kounellis con Paladino? E Beecroft con Parmeggiani, Longobardi con Gioli o con Caccavalle? Riusciranno ad orchestrare il “Codice Italia” o faranno un gran baccano? Vedremo.
A parlare per loro saranno le opere, tutte realizzate ad hoc, sottolinea il curatore, e questo ci fa piacere. Come anche ci piace il fatto che siano coinvolte le Accademie, anche se non è chiaro con quali soldi gli studenti più meritevoli di queste possano fare il workshop con cinque dei quindici artisti chiamati da Trione, viste le scarse risorse dichiarate per realizzare tutto il Padiglione: 600mila euro più quasi altri 400mila euro raggranellati tra Expo e sponsor, e le ancor più scarse risorse delle Accademie, che spesso non hanno neanche i soldi per il riscaldamento. 
E qui cominciano le cose che non ci piacciono. Perché tutti questi misteri? Perché non si riesce mai a fare nomi e cognomi di chi dà (o darebbe?) i soldi al Padiglione Italia o a un museo, come è stato anche, per esempio, al Macro che, in conferenza stampa di due giorni fa a Roma, si è guardato bene (assessore alla cultura Giovanna Marinelli) di fare nomi e cognomi? La cultura, l’arte e i soldi che gli occorrono è roba sporca, i cui panni vanno lavati in casa? Pensiamo di no. E, allora, coraggio: fateli questi nomi!
Ma i misteri, che tanto fanno codice Italia, continuano. Trione annuncia che via via annuncerà altre iniziative. Quali? Boh. E soprattutto, quando le vuole annunciare, a Biennale finita o appena iniziata, tanto per distinguerci nel nostro proverbiale ritardo con cui trattiamo le cose?
Ma l’annuncite con poco costrutto – e sappiamo che più si aggiungono cose e spesso meno ciccia c’è – contagia anche il ministro Franceschini. Che in conferenza stampa, dopo aver rivelato la sua gioiosa sorpresa nell’apprendere che la Biennale di Venezia all’estero è ritenuta molto importante (e lo dice guardando il Presidente Baratta!), ha annunciato che stanno vagliando le proposte tra i dieci invitati a curare il Padiglione Italia per la prossima (tra un anno, mica chissà quando) Biennale d’Architettura. Vagliando. Guai a comunicarlo quando tutti lo fanno. Anche qui vedremo. E a proposito di “scoperte”, è stato interessante apprendere da Trione che esiste il fenomeno della biennalizzazione. Caspita! Doveva essere chiamato a farne una per scoprirlo.
Ma continuiamo con i misteri, parliamo di metodo, visto che sui contenuti abbiamo deciso di vedere e poi dire. Il Paese ospite della Biennale è riuscito ad arrivare ultimo a comunicare chi sono i nostri artisti che ci rappresentano quest’anno a Venezia. Perché? Nessuno ce l’ha spiegato. E il silenzio non ha fatto altro che aumentare i malumori già addensati sulla nomina di Vincenzo Trione, uno studioso d’arte e d’altro, un critico, come si evince settimanalmente dalla Lettura sul Corriere della Sera, ma ben poco curatore. Perché proprio lui? Che per giunta è stato vicino al ministro Franceschini in qualità di consulente per l’arte contemporanea? Ariboh. 
Si mormora addirittura che Okwui Enwezor abbia di fatto escluso dalla sua Biennale gli artisti italiani (due morti e due straniere di fatto fanno poco artisti italiani) perché già ampiamente rappresentati nel Padiglione Italia. Se fosse vero (e speriamo di no) sarebbe un fatto molto grave. Enwezor ha un ruolo istituzionale molto preciso, non è il compagnuccio di banco di Trione o di altri, che fa il dispetto a Trione o ad altri. Ma anche qui le cose sono state parecchio opache. Enwezor se l’è cavata dicendo che il Paese ospite quest’anno può accontentarsi di ospitare. Strano modo di ragionare o scappatoia diplomatica, comunque poco elegante.
L’unica certezza che c’è stata fino all’inizio è che gli artisti italiani nel nostro padiglione sarebbero stati tanti, con il rischio dell’accozzaglia, del pestarsi i piedi l’uno con l’altro, che abbiamo già visto nel 2009, nel 2011 e anche nel 2013. 
E qui si arriva alla madre di tutti i misteri. Perché noi non possiamo essere un Paese normale neanche quando facciamo la Biennale? Perché gli altri hanno la serietà (il coraggio è un parolone fuori luogo) di indicare uno, due artisti che per quella volta li rappresentano e investire culturalmente, con tutte le forze di cui si dispone, su questo/i?
Già, le forze. Sono queste che ci mancano, prima di tutto il resto. Forze e trasparenza. Volontà. Probabilmente, fino a che non si risolvono queste questioni avremo poca credibilità qualunque padiglione si faccia (per dire l’ultimo degli impegni in agenda). Prestando il fianco a Enwezor che (forse) si diverte a fare i dispetti. E al mondo intero che ci guarda e ci giudica. Anche a Venezia. 

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