29 marzo 2015

Le battute finali del MaerzMusik Festival: trenta ore di musica no-stop, al Berliner Kraftwerk

 

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Gli string quartet n°2 di Morton Feldman hanno guidato il lento inizio della maratona finale del Maerz Musik Festival. Due giorni per 30 ore complessive di musica contemporanea ospitate nel Berliner Kraftwerk, un esempio di recupero di archeologia industriale nel centro della capitale tedesca, che tanto ricorda la Tate modern di Londra. Illuminazione al neon, stile minimale e quasi post-apocalittico, accompagnano un’esecuzione inesorabilmente lenta per un pubblico che, dopo cinque ore di composizione, apprezza i letti portatibili messi a disposizione. E se questi ricordano i bivacchi di Beuys per semplicità e praticità, il riferirsi continuamente a ciò che non è incluso nell’evento porta a pensare che si siano fatte scelte forse troppo drastiche. Il festival propone una maratona a cui si potrà partecipare parzialmente oppure dormendo; 5 ore di Feldman, una mezz’ora di Pierluigi Billone, 8 ore di Phil Niblock, senza contare le 24 ore del concerto elettro-acustico di Leif Inge. Oggi la seconda parte dell’evento prevede più movimento con Mix Up & Kassem Mosse, Morton Feldman, Thomas Köner, Burkhard von Harder, Eric Holm, Mika Vaino e Actress, in una serie di live performance, la più breve delle quali durerà almeno un’ora. Il pensiero non può non andare al chi veramente usufruirà di ogni proposta, e la risposta sembra essere: “nessuno”. Un concept fuori dalla norma della musica contemporanea, generalmente fruita in aeree protette, spesso in teatri e con formati sempre più atipici in nome di una sperimentazione totale, con qualche influenza (ormai decennale) delle esperienze più popolari del nostro tempo, rock ed elettronica in primis. Al di là del nauseabondo odore del catering, della difficoltà di conoscere realmente la musica proposta, del non trovare sedie per sedersi durante una tale maratona e della gente che nel mentre dorme beatamente, il Maerz è un’ottima occasione per pensare al posto della musica, oggi. Uno spazio piccolo, troppo. (Alessandra Franetovich)

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