07 aprile 2015

L’intervista/Yuri Ancarani

 
OGNI OPERA È COME UN FIGLIO
Incontriamo l’artista romagnolo per la presentazione del suo Seance a Parigi. Occasione per una chiacchierata a tutto tondo

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Tra i pochi italiani presenti nel Palazzo Enciclopedico di Massimiliano Gioni alla 55 Biennale di Venezia con Da Vinci e finalista al Premio MAXXI 2014 con San Siro, Yuri Ancarani (Ravenna, 1972) è tra gli artisti più interessanti nel panorama internazionale. A pochi mesi dalla prima di Séance alla mostra torinese “Shit and Die”, il film sbarca oltralpe, all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi in occasione dell’esposizione “La casa di Mollino” (fino al 29 maggio). Séance, girato interamente nella casa dell’architetto torinese, è una conversazione con il morto, Carlo Mollino appunto, ricca di spiritualità, riflessione, gentilezza. Ne parliamo con l’artista durante una pausa affollata al Centre Pompidou in occasione del suo breve ma intenso soggiorno nella Ville Lumière (suoi lavori sono inclusi anche nella programmazione del Cinéma du Réel- Festival) mentre proprio oggi, 7 aprile, San Siro va in onda nel programma I’M ART su SkyArte Hd. 
Iniziamo dal titolo, Séance….
«L’ho scelto perché sia in inglese che in francese ha un significato simile. In francese significa “incontro” ed inglese “seduta spiritica”. Anche se generalmente scelgo titoli italiani, in questo caso però ho visto che séance funzionava bene. Mandava il film verso la direzione giusta, perché parla di un incontro, una conversazione a cena con il morto». 
Sèance, still da video, courtesy dell'artista e Galleria ZERO
Ti sei ispirato a qualcosa o a qualcuno in particolare? 
«L’idea mi è venuta quando, andando in giro per Torino, dopo l’invito di Maurizio Cattelan a “Shit and Die”, sono stato nella casa di Mollino, lì ho incontrato il custode, Fulvio Ferrari. Mi disse che voleva contattare una medium perché doveva chiedere delle cose a Mollino, ovviamente questo può suonare assurdo, ma nella Torino magica e dell’occulto è assolutamente normale. Così ho avuto l’idea, il film sarebbe stato girato là. Per la cena mi sono ispirato a dei rituali funebri tradizionali, in particolare in Grecia, le famiglie usavano cenare sulla tomba del defunto. All’inizio del film, infatti, il primo piano sulle colonne ricorda più una tomba che le gambe di un tavolo che tra l’altro era fissato al pavimento. Così ho pensato di celebrare il morto con una cena in suo onore». 
C’è un aspetto spirituale in quello che dici e nel film. Credi nell’aldilà?
«Io credo in questo film. Se ti dicessi che la medium conosceva Mollino, se ti dicessi che la sceneggiatura l’ho scritta io, qualcuno potrebbe dire che non è vero ed io invece potrei dire di essere stato un grande scrittore! Ma questo è secondario, non cambia. Ciò che importa è dentro il film. Per me per esempio la cosa più interessante è questa donna, la medium, che parla al maschile e giustifica il comportamento di un uomo che sappiamo essere stato molto turbolento nei suoi rapporti con l’altro sesso». 
 Sèance, il poster
Il film non racconta la vita di Mollino, ma è piuttosto una riflessione sulla missione dell’artista in vita. La medium, nei panni di Mollino, ad un certo punto proprio a proposito del “suo” rapporto con le donne, dice di non avere mai creduto alla stabilità delle relazioni, quanto piuttosto a quella delle sue opere. Solo le opere d’arte sono stabili? 
«A questa domanda non ti rispondo ora. Quello che ti posso dire è che penso che molti artisti si ritrovino in quelle parole. Spesso l’artista tratta la propria opera come un figlio. Creare implica la messa in gioco di molte energie».  
Finzione / realtà. Mi sembra che riesci bene a fondere questi due elementi. Le immagini dei tuoi film sono molto pulite, nitide, i personaggi sono reali con i loro gesti e i loro atti, come nei documentari, ma allo stesso tempo vi è un’atmosfera sospesa, scenografica, come se fossimo all’interno di una mise en scène, in attesa di un epilogo che non arriva.
«Faccio parte del mondo del documentario, anche se non vedrai mai un mio film trasmesso in televisione sotto questa definizione. Quello che mi interessa è il reale, non faccio cinema. Per me di fiction non c’è nulla. È il modo di riprendere che riporta piuttosto alla fiction e la scelta dei personaggi. Il capo della cava di marmo, ha di per sé la faccia da film, per esempio. Poi c’è il modo di inquadrare che fa pensare al mondo cinematografico. Riprendo in maniera impeccabile, e poi lavoro tantissimo durante il montaggio per avere una qualità eccellente dell’immagine. Non c’è mise en scène. Vado nei posti dove giro i film, ed in San Siro per filmare il ragazzo che apre e chiude il cancello ci sono voluti tre giorni, seguo i loro tempi». 
San Siro, still da video
Quanto tempo impieghi per realizzare un lavoro?
«Alle volte ci vuole un anno, come in San Siro. Delle altre di meno, Da Vinci in tre mesi, Séance in un giorno solo le riprese. La medium non sapeva che noi stessimo filmando, avevamo posizionato microfoni e telecamere in modo che non si vedessero, doveva essere così». 
A proposito della medium, la sua voce è molto profonda, calda. 
«Si questo è voluto, ed il merito è del mio fonico, Mirco Mencacci, non vedente e quindi eccellente nel “guardare” con altri sensi, c’erano sette microfoni posizionati in maniera strategica nella sala quel giorno». 
Nei tuoi film vi è una grande attenzione al sonoro che, insieme ai gesti e agli atti, sembra essere il vero conduttore della narrazione, più che le parole… 
«In un film per immagini lo sforzo dello spettatore è più elevato rispetto a quando c’è il parlato. È una sorta di esercizio mentale in cui ognuno arriva alla sua verità. In Séance invece proprio perché c’è una voce narrante quello che è detto è quello che è, nessuno può dire che sbagliato». 
Da Vinci, still da video courtesy dell'artista e Galleria ZERO
Nei tuoi lavori persone qualunque (operai, poliziotti, chirurghi) diventano i nuovi eroi, capaci in un solo gesto di sovvertire le leggi del tempo e dello spazio. Me ne puoi parlare?
«Questo è uno dei tanti messaggi presenti nella Trilogia del ferro. Sono eroi del quotidiano. I miti che hanno le persone comuni oggi sono diversi. Per me è importante quello che si fa ogni giorno».  
Sempre a proposito della Trilogia del ferro, guardandola mi è venuto in mente l’urlo di Stratos: l’estetica del lavoro è lo spettacolo della merce umana. Nei tuoi lavori c’è un messaggio politico?
«Un buon lavoro deve avere anche un messaggio politico, non necessariamente dichiarato, non mi interessa urlarlo ad alta voce». 
San Siro, still da video
Hai parlato dei tre film che compongono la Trilogia come passato (Il Capo), presente (Piattaforma Luna) e futuro (Da Vinci). Cosa intendi?  
«Nella trilogia mi interessava creare una connessione tra i tre film che avesse un percorso. In Il Capo la macchina è fuori dal corpo ed è controllata dai movimenti umani, che poi sono simili a quelli del chirurgo; in Piattaforma Luna i sommozzatori vivono dentro la macchina, mentre in Da Vinci la macchina è dentro il corpo ed il corpo sembra un mostro». 
Rapporto uomo – macchina: come ne vedi il futuro?  
«Non ho fiducia nella tecnologia». 
Un’ultima domanda, Ricordi per moderni, Souvenir, la Romagna. Quanto è importante nelle tue opere la memoria ? 
«La stessa tematica di cui mi interesso, legata al mondo del lavoro è memoria. Vengo da una famiglia di lavoratori. Il principale pensiero per loro era che io trovassi un buon lavoro, non medico o avvocato, giusto un lavoro, anche più umile». 

Serena Carbone

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