22 aprile 2015

I GALLERISTI SI RACCONTANO/3

 
Alessandro Pasotti & Fabrizio Padovani di P420 di Bologna
di Alessandra Caldarelli
Il bello di andare contromano

di

«L’opera si sviluppa in relazione al modo in cui lo spettatore/partecipante, improvvisamente emancipato dallo status di semplice osservatore, la recepisce e reagisce ad essa, contribuendo a determinarne forma e significato». Nelle parole di Franco Vaccari rimbalza il fil rouge di una mostra, The Opening, nella quale lo spettatore è invitato a diventare parte dell’opera stessa assieme all’artista Sanja Iveković e Vaccari, per l’appunto. L’inaugurazione della mostra diventa l’occasione in cui si costruisce e si racconta la mostra stessa, in cui opera partecipata e arte relazionale incontrano un pubblico troppo abituato a guardare senza vedere. Nell’anniversario dei quarant’anni dall’ultima esposizione che li ha visti insieme, i due artisti tornano a confrontarsi negli spazi della galleria P420 di Bologna, che prende il nome da quel numero di Pantone che corrisponde al colore grigio chiaro, lo stesso che per Bruno Munari era colore d’eccellenza in grado di far vivacizzare tutti gli altri. Un passato da ingegneri, un presente da galleristi: Alessandro Pasotti e Fabrizio Padovani scambiano qualche battuta a proposito del loro spazio, protagonista per non essere legata ai nomi che ‘vanno di moda’, attenta in una ricerca orientata verso quegli artisti che non hanno ricevuto la giusta attenzione (e il meritato successo, secondo Pasotti e Padovani) da parte dei loro contemporanei. Un luogo fatto di mostre, fatto di artisti, ma anche di pubblicazioni, editoria, cataloghi, in cui riscoprire altre forme di ‘arte nell’arte’.
Riccardo Baruzzi, Costanza Candeloro, Giulia Cenci, Cristian Chironi, Eva Marisaldi, Italo Zuffi, Le leggi dell'ospitalità, Courtesy P420, Bologna
Sin dall’inizio del vostro percorso avete intrecciato rapporti con artisti di una passata generazione. Perché questa scelta?
«Alcuni artisti hanno fatto e fanno ricerche di straordinaria contemporaneità che però le vicende della vita, a volte le logiche perentorie del mercato, non hanno fatto emergere. Spesso erano troppo avanti per essere capiti. Oggi abbiamo gli strumenti e l’obbligo di capirli».  
Se doveste pensare di collaborare con un artista di nuova generazione, quale nome della scena contemporanea vi incuriosirebbe conoscere?
«Recentemente abbiamo cominciato a presentare il 38enne Riccardo Baruzzi, il più giovane degli artisti con cui collaboriamo. Fa principalmente pittura, un genere che ci interessa moltissimo».
Da Alessandra Spranzi a Irma Blank, da Joachim Schmid ad Antonio Calderara. Qual è il focus che lega gli artisti con cui lavorate?
«L’essenzialità di una ricerca asciutta, a togliere, a dire poco e quindi a dire tutto. La poesia, una sintesi in grado di emozionare. Ma anche la contemporaneità, nei mezzi e nei messaggi. Una ricerca essenziale, poetica e contemporanea».
Alessandra Spranzi, Meraviglia, Courtesy P420, Bologna
Entrambi venite da un diverso background professionale. Come si passa dall’essere ingegneri ad essere galleristi? Come torna utile la vostra formazione di stampo scientifico nella vostra attività odierna?
«Siamo ingegneri, ma nessuno è perfetto. Si può cambiare se si segue le proprie passioni, se si va nella direzione delle proprie inclinazioni. Si, forse tante nozioni che abbiamo imparato non le usiamo più, ma la forma mentale che l’Università è in grado di darti è qualcosa dalla quale forse ancora oggi non si può prescindere, qualsiasi sia il campo nel quale ci si va a formare».
Partecipate a diverse fiere durante l’anno, in Italia e all’estero. Come viene accolto il lavoro dei vostri artisti? 
«Incontriamo le difficoltà di chi non propone nomi di moda, ma questo è voluto. È molto più difficile proporre ciò in cui credi piuttosto che ciò che è di moda ma per fortuna il riscontro che abbiamo nelle fiere è ottimo. Spesso addirittura più all’estero che in Italia».
Quanto è importante per un gallerista oggi partecipare alle Fiere d’arte?
«Se hai la galleria a New York o a Londra direi importante, se ce l’hai a Bologna direi fondamentale».  
Quali sono i prossimi progetti per la galleria?
«Vorremmo in un futuro prossimo ampliare il nostro spazio e integrare sempre di più nuove generazioni con artisti da riscoprire. Una scrittura di sovrapposizioni di tempo, un linguaggio che si riscrive come nel gesto di Irma Blank. Una riscoperta del passato con un occhio rivolto verso il futuro, con la scommessa aperta di poter scrivere la storia di artisti che ancora non vanno di moda, stavolta giocando d’anticipo. In fondo chi l’ha detto che l’arte debba appartenere per forza al tempo presente per considerarsi contemporanea?».

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