30 aprile 2015

Una carta d’identità planetaria

 
Anticipiamo come sarà veramente il Padiglione di uno dei Paesi più sotto i riflettori: Cuba. Con quattro artisti cubani e quattro internazionali, tra cui l’italiano Giuseppe Stampone

di

Si intitola “El artista entre la individualidad y el contexto” il Padiglione di Cuba alla Biennale. Ne abbiamo parlato a tutto tondo con il co-curatore Giacomo Zaza (nella foto sopra di Petra Fantozzi). Senza trascurare la cronaca, a partire dall’affaire Bruguera e le ombre sulla Biennale.
Padiglione Cuba: Susana del Pilar Delahante, Dominadora inmaterial
Come hai lavorato sul Padiglione di Cuba alla Biennale?
«Il Padiglione Cubano è stato concepito a quattro mani, da me e da Jorge Fernandez Torres. Le scelte sono state concordate e valutate insieme durante il mese di dicembre 2014 a L’Avana. Abbiamo scelto quattro artisti cubani Luis Gómez Armenteros, Susana Pilar Delahante Matienzo, Grethell Rasúa e Celia-Yunior, tre dei quali residenti a Cuba, e quattro artisti internazionali, l’afghana Lida Abdul, la russa Olga Chernysheva, il cinese Lin Yilin e l’italiano Giuseppe Stampone, che potessero entrare all’interno del percorso dato al Padiglione. La mostra verte intorno ad un nucleo: il dialogo tra “l’individualità e il contesto”, tra l’attuazione delle potenzialità del soggetto, in quanto laboratorio personale di codici e attitudini, campo di sedimentazione di ideologie passate ed elaborazione di nuove prospettive sia immaginarie che riflessive, e le manifestazioni della realtà, le diverse forme di organizzazione sociale e politica, i micro-sistemi (dentro e fuori il contesto cubano), lo spazio globale dei flussi, il network digitale, gli ordini e i disordini che si mescolano nel “torrente storico” e le sottomissioni ai processi economici mondiali. Proprio in virtù del suo carattere artistico polifonico, il Padiglione diventa una sorta di fermentazione linguistica multipla che unisce pratiche non soltanto cubane, ma anche provenienti da punti diversi del globo. Questa fermentazione “annuncia” e produce una sorta di viaggio verso il cambiamento sostanziale dei nostri sistemi percettivi, laddove prende corpo il “comportamento” del singolo artista e si fa rilevante la contaminazione dei processi creativi con il tessuto urbano, il rinnovamento tecnologico, che a Cuba, e in alter aree geografiche, risultavano dei lontani sistemi di realtà».
Padiglione Cuba: Notes on the Ice, 2012, di Celia Yunior
Che dialogo si è instaurato tra artisti cubani e “stranieri”? E qual è il punto forte – di qualsiasi tipo – su cui Cuba e l’Italia si incontrano?
«Gli artisti cubani e quelli internazionali invitati condividono il confronto tra la carta di identità personale e quella terrestre, planetaria. Un confronto che suggella la relazione. Gli otto artisti si muovono nella zona di interdipendenza inaggirabile tra spazio individuale e spazio collettivo. Una relazione tra le due sfere tesa a sviluppare tanto la discussione e l’analisi, quanto la decostruzione e la proiezione mentale. Ciascuna pratica diventa l’attraversamento di frontiere linguistiche ed estetiche: uno spazio ‘sensibile’ di mutazioni e espansioni che tocca l’ambito antropologico e ontologico di Cuba e di aree geografiche che hanno condiviso e condividono gli splendori e la miseria della specie umana, i rumori e i furori dei totalitalismi, le aperture economiche e le derive politiche, come la Russia, la Cina e l’Afghanistan. Il percorso inizia con l’installazione site-specific esterna di Giuseppe Stampone, Casa particular, metafora della nazione di Cuba, dove la ‘casa particular’ rappresenta la microeconomia e il crocevia di estetiche del quotidiano, in cui lo straniero viene immerso in una dimensione di ospitalità, parte integrante del luogo, nonché in un immaginario intimo imbevuto di elementi popolari. Con questa prima opera si annuncia un argomento fil rouge del Padiglione: la coscienza di una comunità umana per la quale siamo tutti “figli e cittadini della Terra-Patria”, come direbbe Edgar Morin».
Padiglione Cuba: Giuseppe Stampone, Casa particular, 2015
Dopo l’installazione di Stampone, quando si accede al Padiglione, che si trova? 
«Il percorso prosegue con l’orizzonte sociologico dell’opera Notes on the Ice di Celia-Yunior. Una installazione che divulga attraverso scaffali riempiti di risme di fogli un diagramma di tutti gli studi effettuati dal Dipartimento di Sociologia dell’Università de L’Avana dal 2001 al 2011. Dà spazio alle riflessioni ciniche sulle relazioni del “potere” (nei territori dell’arte) di Luis Gómez Armenteros con l’opera La Rivoluzione Siamo Noi, e al territorio delle dominazioni finanziarie dell’avatar ‘Flor Elena Resident’ in Dominadoras inmateriales di Susana Pilar Delahante Matienzo, un territorio che veicola speranze, fantasie, feticci e truffe, così come alla azione inconsueta Triumph di Lin Yilin, per la quale l’artista cammina con un polso ammanettato alla caviglia per gli Champs-Élysées a Parigi, riflessione sulla “libertà di limitare la propria libertà”. Ed ancora giunge al gesto-dichiarazione De la permanencia y otras necesidades di Grethell Rasúa (foto di copertina) che mostra l’artista intenta a leccare un cactus (qui la sensualità del gesto sottende una resistenza). Inoltre apre lo sguardo  alle narrazioni di Lida Abdul e Olga Chernysheva (con una importante installazione video intitolata Screens), al confine tra realtà attuale, memoria e sogno, ma anche tra immagine, azione e società. Il padiglione Cubano a San Servolo, per la Biennale del 2011, consisteva in un dialogo tra artisti cubani e italiani, mentre a partire dal 2013 tramite la mia curatela, unita a quella di Jorge, ha visto le pratiche artistiche cubane confrontarsi e compenetrarsi con esperienze linguistiche attive in altre aree geografiche, nell’ambito dell’abbattimento delle frontiere e dei confini nazionali. Il punto più forte dell’incontro tra Cuba e l’Italia ha origini lontane, cito su tutti Italo Calvino. Il rapporto tra Italia e Cuba, modulato sapientemente dal commissario Miria Vicini, è in continua sfida ed ebollizione creativa. Da tale rapporto nasce una fermentazione artistica vitale e una profonda riflessione, di vocazione universale, intorno alla ricca politica estetica di pensare e di sentire il mondo a partire dal sociale».
Padiglione Cuba: Olga Chernysheva, Screens
Che cosa pensi della situazione che ha coinvolto Tania Bruguera, e del suo fermo obbligato a Cuba?
«L’invito di Tania Bruguera rivolto ai cubani di “rivendicare pubblicamente i propri diritti civili il 30 dicembre alle 03:00 in Piazza della Rivoluzione a L’Avana” è stata una mossa vissuta in particolar modo sulla scena mediatica mondiale. Questa chiamata è transitata immediatamente sul sito web ‘Diario de Cuba’, di orientamento controrivoluzionario. Nello stesso organo di informazione, durante le 24 ore dopo le dichiarazioni dei presidenti Raul Castro e Barack Obama, è stato pubblicato un testo di Carlos Alberto Montaner, comprovato terrorista secondo il Governo Rivoluzionario, in cui si condanna la decisione di Obama e si rilancia la necessità di mantenere una politica ostile verso cuba. Una controtendenza rispetto alla euforia diffusa. Gli organismi statali per le arti contemporanee in Cuba favoriscono e promuovono sempre un dialogo aperto e rispettoso con gli artisti. Però intorno alla azione della Bruguera aleggia una complessità, già emersa dagli incontri per discutere il progetto che l’artista ha tenuto con il Consiglio Nazionale d’Arte Plastica. 
È difficile valutare una reazione così rigida e “repressiva” da parte del governo cubano nei confronti dell’a artista. Certamente non è accettabile. Ma il governo cubano si trova in una fase di transizione piena di incertezze e “incognite”, un metabolismo vulnerabile, sempre reattivo ed eccitabile. E la Bruguera ne è pienamente consapevole. Dopo più di cinque decenni di ostilità e di sopravvivenza, il piccolo pezzo di terra, nel mezzo tra l’America del Nord e l’America del Sud, vuole resistere. È palese che un progetto artistico realizzato al di fuori di Cuba, alimentato da soggetti e organi di stampa controrivoluzionari, distante dal sistema giuridico e istituzionale interno, non sarà mai privo di repressione (come anche il fermo obbligato), anzi include proprio questo».
Padiglione Cuba: Luis Gómez Armenteros, La Rivoluzione Siamo Noi
Tra le problematiche che hanno anticipato la Biennale di quest’anno, c’è stata la vicenda dei Padiglioni con “gettone di partecipazione”, chiamiamolo così. Che cosa significa, secondo te, accettare (da parte degli artisti e da chi li rappresenta) queste regole del gioco sbagliate, lontane dai giusti canali del sistema dell’arte?
«Non si tratta di aderire ai canali del sistema dell’arte: anche questi ormai sono diventati recinti “passivi” nei quali si nasconde il fantasma della fruizione effimera dei salotti piccolo-borghesi. Spesso il sistema si adopera soltanto sul “versante trendy”, con eventi noiosi per vips e stars dell’arte. Un versante che contiene preoccupazioni di marketing. Penso che “accogliere” l’invito a pagamento è fuori da una portata morale. Ma c’è da sottolineare come la partecipazione tramite compenso si è sempre aggirata dietro le passerelle del sistema dell’arte. Oggi purtroppo dobbiamo essere coscienti che siamo ancora in lotta per condurre progetti curatoriali ad alta intensità». 

Padiglione Cuba: Triumph di Lin Yilin

In uno scritto che hai realizzato proprio per Exibart, hai parlato di Cuba come di un Paese dove la partecipazione alla cultura è generale perché, forse, nella povertà di mezzi, è un modo per festeggiare ed emanciparsi medesimamente. In Italia, invece, l’arte contemporanea specialmente, pare ancora come un “vezzo” di esclusività. Come far convivere questi aspetti?
«È tentare di concepire l’attività artistica nella sua sfera multidimensionale, una sfera doverosamente a portata di tutti. E uscire dai codici e dai protocolli del profitto (le grandi mostre dei ‘classici’ con biglietti d’entrata spropositati). Portare i musei fuori, nelle strade. Progettare spazi contaminabili. Pensare alla vicinanza dei processi creativi con il contesto. Lo spazio museale più simile allo spazio solidale del teatro e dell’assemblea e non lo spazio silenzioso e solitario in cui implodono le opere. Mai neutralizzare le contraddizioni».
Padiglione Cuba: Lida Abdul, In transit
Ora che i ponti tra Cuba e Stati Uniti sembrano in fase di ricostruzione, che rischi vedi per l’arte contemporanea dell’isola? Ma soprattutto, vedi questo riavvicinamento come un’occasione positiva per la cultura?
«Le pratiche artistiche cubane sono sempre state “immerse” nel funzionamento interno della società, sia vicino la quotidianità, sia ai bordi della politica e delle strutture governative in un determinato contesto. L’arte a Cuba si estende al di là delle discipline. Implica la scienza e la conoscenza profonda. Predilige gli approcci interdisciplinari e transdisciplinari. Radicalizza le strategie artistiche, prendendo in considerazione l’autolesionismo, sia fisico che psicologico. Le domande restano aperte. Gli artisti nell’isola setacciano continuamente il contesto, le circostanze, lo statuto, le derive e le utopie della storia nazionale, la metamorfosi sociologica. E alcuni di essi sono molto critici verso un futuro per Cuba che vede la restaurazione del capitalismo e la penetrazione delle idee di estrema destra americana in tutte le sfere della vita nazionale». 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui