04 maggio 2015

Speciale Venezia/Parla Angela Vettese

 
PETER DOIG TORNA IN LAGUNA
«Peter Doig è probabilmente il miglior pittore oggi sulla scena. Averlo era un sogno che coltivavo da sempre»

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L’ultima volta di Peter Doig a Venezia è stata nell’ambito della mostra “Da Rauschenberg a Murakami, 1964-2003”, curata da Francesco Bonami durante la Biennale del 2003.
Ma chi è Peter Doig? È un pittore, è scozzese, ed è anche ricco, visto che negli ultimi anni alcuni suoi lavori sono stati battuti in asta a cifre a sette zeri. Nato nel 1959, cresciuto e formatosi tra Trinidad, il Canada e Londra, Doig frequenta la Wimbledon School of Art e la Saint Martin’s School of Art negli anni del punk, e in pieno revival della pittura figurativa. Ma è solo nel 1991 che esplode la sua popolarità, con il colpo gobbo alla Whitechapel di Londra (prize e mostra monografica), proprio nel momento in cui internazionalmente la pittura sembra dimenticata in favore del pop-concettualismo di Damien Hirst. Da più di dieci anni ha traslocato definitivamente a Trinidad, nei Caraibi, con la famiglia, diventando vicino di Chris Ofili (ricordate? Il pittore YBA che diventò notorio grazie ai suoi dipinti in cui usava sterco di elefante) con cui condivide lunghe gite in kayak.
Lo scozzese caraibico torna a Venezia dodici anni dopo e stavolta con una mostra tutta sua nelle austere sale del Palazzetto Tito, sede della fondazione Bevilacqua La Masa. Siamo curiosi di sapere come e se Venezia influenzerà il lavoro di Doig, lui che riesce a trasformare paesaggi del quotidiano in magici scenari misteriosi e perturbanti, e che spesso e volentieri ha indugiato sull’elemento acquatico (si pensi alle varie versioni di canoe, elemento ricorrente nel suo immaginario….e se stavolta facesse delle gondole?). Curano la mostra Milovan Farronato e Angela Vettese, alla quale abbiamo strappato qualche informazione.
Peter Doig Red Boat (Imaginary Boys), 2004 Olio su tela 200 x 186 cm Collezione privata
Ma perché proprio Doig, e proprio qui?
«Peter Doig è probabilmente il miglior pittore oggi sulla scena. Negli anni abbiamo sondato la pittura di protagonisti giovani e anziani come Marlene Dumas, Alex Katz, Karen Kilimnik, Richard Hamilton, Enrico David… Avere Doig era un sogno che coltivavo da sempre, Milovan Farronato mi ha aiutato a compierlo. È stato importante, in questi anni alla BLM, sondare tutti i linguaggi utilizzati oggi dagli artisti, dalla fotografia all’installazione al video, asserendo al contempo che nessuna vecchia tecnica è fuori corso. Avere un grande pittore come Doig completa questo percorso».
Si tratta di una semplice e straordinaria retrospettiva di Doig oppure vi sono lavori realizzati per l’occasione?
«L’artista ha lavorato a lungo nel suo studio dopo una visita allo spazio espositivo la scorsa estate. Gli spazi veneziani di Palazzetto Tito lo hanno molto colpito, ma come lui traduce il suo sentire nei quadri non lo possiamo anticipare, ma almeno il 70 per cento dei lavori esposti sono fatti per questa mostra».
Peter Doig, 100 Years Ago, 2002 Olio su tela di lino, 229 x 359 cm Centre Pompidou, Parigi
Che significato ha la banalità nella pittura di Doig? 
«L’uso dell’orizzonte quotidiano fa da sempre parte della pittura di Doig, anche se in commistione con i luoghi esotici in cui lavora. Immagini banali significa per lui sia strade e vetrine delle città sia la natura dei Caraibi. L’acqua e i riflessi in particolare hanno sempre avuto un rilievo specifico nella sua pittura opaca, ruvida, all’apparenza spontanea ma molto pensata in termini di composizione».
Che ci può dire delle falle e dei punti forti del sistema Venezia durante la Biennale?
«La Biennale ha rischiato di essere un organismo chiuso nei Giardini e rivolto a un pubblico di adepti. Negli ultimi 15 anni, dilatando un processo iniziato già negli anni Settanta, si è allargata al tessuto della città grazie a Padiglioni nazionali esterni e iniziative collaterali più o meno integrate al suo sistema. Il vantaggio è sia culturale che turistico: più offerta per gli appassionati, più occasioni di detour per chi tende a percorrere le vie già note della città. In generale, l’effetto-vetrina è inevitabile, ma più cresce il numero delle iniziative più aumenta la vitalità del centro urbano. C’è una simbiosi virtuosa tra cultura e vita cittadina, anche in termini di ritorno economico. Ricordiamoci che il turismo ‘normale’, quello per intenderci delle crociere, tende a costare più di quanto renda. Il turismo culturale chiama visite più lunghe, consapevoli e rispettose, oltre a garantire un incremento degli affitti e degli impieghi per la preparazione degli eventi».
Inaugurazione: 4 maggio, ore 18.00 
PALAZZETTO TITO
Dorsoduro 2826
30123, Venezia

1 commento

  1. >>>consueto conformismo Vettese da cinema di provincia di una figura dal profilo intellettuale limitatissimo. Se non si omologa scegliendo nomi strasentiti e stravisti imposti dall’estero e dalle culture anglofone non si sente nessuno.
    Si era dimessa da presidente Bevilacqua parecchio tempo fa ma utilizza ancora quest’istituzione come la sua galleria privata. Ma qui a Ve abbiamo già subito la vicenda Mose, figuratevi a chi possono interessare i diritti delle categorie produttive artisti compresi!
    Cosa sia la Venezia (una mentalità però comune a tutto il Veneto) di oggi e quale sia il grado di cinismo dei personaggi padroni del circo è stato ben chiarito dallo scandalo Mose soldi-sponsor-poltrone “cento milioni di euro l’anno da distribuire” per manipolare il consenso anche culturale.

    >>>Doig: scottish painter, pittura piacevole, superficiale rieccheggiante vagamente espressionismi e postimpressionismi, senza alcuna tensione né etica né esistenziale. Piatto rimasticamento delle avanguardie storiche. Ma – attenzione – un lavoro ottimo come carta da parati per allegri modaioli vernissage radical-chic tra nomenklatura.

    >>>ancora una volta Vettese palesa le sue difficoltà di scelta all’interno delle pratiche pittoriche, lacuna comune a molti critici della sua generazione: la loro reazione al postmodernismo si è esaurita, appunto, quale atto reazionario, senza aver generato modelli e paradigmi critici efficaci. Solo tanto conformismo.

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