06 maggio 2015

Venezia/My East is your West. Ovvero: il confronto, il passato e il presente sulla linea di confine tra India, Pakistan e Bangladesh

 

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La partizione in arte non c’è. Di che cosa stiamo parlando? Dei rapporti conflittuali tra India e Pakistan per risolvere i quali, nel 1947, a ovest il Pakistan è stato staccato dall’India mentre a est è stato costituito il Bengala, che nel ’71 diventa indipendente come Bangladesh. Questa premessa storica è necessaria per introdurre una delle più belle mostre viste a Venezia in questo inizio di settimana di Biennale. “My East is your  West” (a palazzo Benzon, fino al 1 ottobre, a cura di Feroze Guyral con collaborazione di Martina Marzotta e Natasha Ginwala). Due artisti soli, il pakistano Rashid Rana (Crowd, foto di copertina) e l’indiana Shilpa  Gupta (I live under your sky too, foto sopra). Il primo che lavora in un continuo slittamento spazio-temporale, realizzando video- ambienti interattivi di grande impatto visivo e dotati di un discreto potere straniante, grazie anche a un uso non convenzionale dei pixel. Shilpa Gupta che conferma il rigore linguistico di cui ha dato prova fin dall’inizio della sua brillante carriera. Dal 2011 la sua attenzione è sul confine tra India e Bangladesh di cui in Occidente si sa molto poco, ma che invece è uno dei confini più complessi del mondo, dove avvengono traffici illeciti, fa cui anche di minori, e che costituisce  una delle pagine più imbarazzanti dell’India contemporanea. 
Gupta affronta tutto questo con uno sguardo lucido lavorando per sottrazione con una modalità che quasi “raffredda” la scabrosità dell’argomento, accompagnando alcune installazioni con piccoli scritti delicati.  Oggetti che circolano nei commerci lungo il confine, l’oro, la droga e la nebbia che spesso grava sulla linea di demarcazione sono collocati da Shilpa Gupta in alcune teche che li evidenziano ma, al tempo stesso, sembrano volerli sottrarre al commercio. 
La mostra pare particolarmente riuscita perché mette insieme due sensibilità e due sguardi che la storia avrebbe voluto contrapporre. Non è la prima volta che l’arte riesce invece nel dialogo, una prova fu, anni fa, con la mostra “Subcontingente” realizzata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e, più, recentemente “Indian Highways” che è stata di scena anche al MAXXI. Ma in questo caso il secco vis-à-vis tra due artisti appare una scelta curatoriale particolarmente coraggiosa.

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