27 maggio 2015

La prima volta italiana di Howard Schatz: il fotografo americano della danza arriva alla Triennale di Milano, grazie ad una collaborazione con la società Repower

 

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Anche stavolta l’incontro tra un soggetto privato e un ente pubblico-privato (ricordate la sentenza dei giorni scorsi? www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=45796&IDCategoria=204) portano ad un bel risultato, per il pubblico prima di tutto.
Che da domani, alla Triennale di Milano, potrà scoprire oltre quaranta scatti di Howard Schatz, fotografo americano nato a San Francisco e di base a New York, alla sua prima in Italia, grazie a progetto con Repower, che ha chiesto al Maestro dell’obiettivo di firmare la propria campagna commerciale 2015.
Due settimane di mostra, in un “museo” rinnovato e in rapporto con i temi dell’energia e dell’architettura e con cambiamenti vari ed eventuali mai così vorticosi come in questo periodo di Expo.
Ma il vero protagonista, stamane, è proprio Schatz, che si lascia andare a una lunga passeggiata con i giornalisti, tra le sue opere, raccontando aneddoti di quei corpi ripresi nel movimento della danza, soprattutto, la sua ossessione.
Non fece altro, infatti, per 2 anni, quando sbarcò a New York venticinque anni fa. Fotografò ballerini e compagnie, attori, cristallizzando il movimento, i muscoli, la performatività di un fisico umano che, a certi livelli, diviene una vera e propria macchina.
«Sono Molto fortunato ad avere musei e gallerie che espongono il mio lavoro in tutto il mondo, ma non ho mai visto una mostra come questa», dice Schatz.
Ma oltre alla mostra, con l’allestimento di Peter Bottazzi, c’è anche un catalogo gigante che raccoglie 25 anni di lavoro, dopo oltre 20 pubblicazioni, grazie alla responsabile della casa editrice Rizzoli in America
«Non volevo fare questo libro, perché non voglio guardare indietro ma solo avanti nella foresta oscura del presente e del futuro, ma di fronte all’ego ha ceduto: il lavoro di selezione è durato un anno e si è trattato di mettere mano a quasi 4 milioni di foto di cui alla fine ne sono state selezionate un migliaio che comprendo  32 progetti». 
E l’allestimento? Bottazzi spiega: «Volevamo veicolare forza ed energia e trovare quello che manca alla foto, la tridimensionalità. E così abbiamo fatto diventare il corpo fotografico un enorme mobile, sospeso, che ricorda la sagoma umana». E che da domani danzerà di luce e “vita liquida”, come Schatz ama raccontare le sue immagini del “Body power”

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