16 giugno 2015

I GALLERISTI SI RACCONTANO/4

 
di Alessandra Caldarelli
Parla Ursula Casamonti, erede della galleria Tornabuoni Arte di Firenze. Che in autunno apre una sede a Londra

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La storia di una passione, la storia di una famiglia: Tornabuoni è un sinonimo di storia, ricerca, tradizione. 
In un percorso iniziato diversi anni fa in Italia – e che oggi prosegue a livello internazionale – Ursula Casamonti ci racconta idee, prospettive e progetti di una galleria che per la città di Firenze è una vera istituzione.
Tornabuoni è un nome di fabbrica: com’è iniziata l’avventura della sua famiglia nel mondo dell’arte? 
«Mio nonno Ezio, oltre che essere un commerciante fiorentino, era un collezionista del “Novecento Italiano” già negli anni 50’-60’. Amava Felice Casorati, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Giorgio Morandi, era amico del concittadino Ottone Rosai tanto che ancora oggi nel soggiorno di mio padre ci sono appesi il ritratto dei miei nonni Ezio e Bruna. Mio padre Roberto che aveva seguito da sempre l’attività del nonno, nel 1980 decise di aprire una galleria d’arte contemporanea in via Tornabuoni, la prestigiosa strada fiorentina da cui prese anche il nome».
Dall’arte antica a quella contemporanea, passando per le avanguardie del Novecento: la vostra galleria ha toccato le epoche più diverse. Quale periodo le interessa maggiormente?
«Personalmente trovo emozionante il secondo Dopoguerra, energia pura e innovazioni più mature di percorsi concettuali e visivi anticipati già dai primi anni Venti».
Tornabuoni Arte, vista dello spazio
Dopo il trasloco, il vostro nuovo spazio fiorentino è un allestimento essenziale e contemporaneo che si sposa con opere d’arte spesso storicizzate. Quanto è importante il contenitore per raccontare un contenuto in arte?
«Lo spazio che presenta le opere d’arte in una galleria deve essere accogliente e contemporaneo, sicuramente diverso da un museo per essere un po’ più vicino al nostro ambiente di casa. Il museo può sicuramente osare negli spazi, e direi che non ci sono limiti. Lo spazio della galleria non deve primeggiare rispetto ai quadri, anzi deve dargli valore e la giusta illuminazione. La galleria dovrebbe, secondo me, anche adeguare i materiali e i colori a seconda del genere di periodo storico artistico che si vuole esporre. Ovviamente i quadri antichi non possono essere raccontati in uno spazio minimale, hanno bisogno di un’intimità architettonica che ricorda il periodo storico a cui appartenevano. Il quadro contemporaneo ha bisogno di pulizia architettonica, perché è questo sicuramente il gusto di questi ultimi decenni».
La città di Firenze non ha una grande risonanza a livello di gallerie d’arte contemporanea. Trova ancora stimolante operare nell’ambiente fiorentino? 
«Oggi si può lavorare anche dalla cima di un monte. Lo stimolo non viene dalla città, ma da come si conduce il nostro lavoro, a chi ci si rapporta. Noi, da Firenze, siamo arrivati a Parigi e dal 2015 saremo a Londra. Firenze la amo e sono orgogliosa di quello che mi dà e mi ha dato; l’arte che respiriamo in questa città è impagabile. Soffermarsi ad ammirare il corridoio vasariano e passeggiare intorno alle sculture di  Donatello, di Benvenuto Cellini, del Gianbologna, od ammirare le ceramiche dei della Robbia o solo alzare gli occhi ed essere invasi dalle architetture rinascimentali ci dà così tanta gioia e fierezza che non può non condizionarci e darci voglia di continuare nella ricerca del bello. Sicuramente l’ambiente fiorentino non è grande o almeno la nostra realtà ha avuto bisogno di un mercato più internazionale, da qui nasce l’esigenza d’incontrare nuovi collezionisti nelle fiere internazionali».
Tornabuoni Arte, vista dello spazio
Tra la Strozzina, i progetti d’arte contemporanea presso Le Murate, le vicine realtà della Continua a San Gimignano o il rinnovato Centro Pecci a Prato, secondo lei si potrebbe fare rete in maniera più organizzata nel campo dell’arte contemporanea sul territorio toscano? 
«Sarebbe molto bello, ma lo trovo molto difficile. Personalmente non saprei da dove partire».
La vostra galleria è impegnata su vari mercati: quale città trova più interessante?
«Non c’è una città in particolare, sicuramente Milano ha un collezionismo più ampio e attivo rispetto Firenze. Lo stimolo viene dal mercato che si muove e sei tu che organizzi, ti muovi e vai incontro al collezionista. È una sinergia che si crea ed il lavoro diventa interessante e attivo».
Tra poco aprirete una nuova sede anche a Londra. Ci racconti qualcosa di questo progetto.
«Progetto ambito di cui mi sento molto responsabile. La necessità di aprire a Londra è una prova ad entrare in un mercato ancora più internazionale. A Londra s’incontra il mondo arabo, il mondo orientale ed è ad oggi la città più frenetica d’Europa, dove il giro del mondo degli affari è davvero sbalorditivo, una città ancora in pieno sviluppo e dove crescere e muoversi non fa paura. L’arte qui fa polo, le gallerie moltiplicano e i giovani girano da una galleria all’altra. La competizione è piuttosto stressante. Trovare grandi locali a Londra direi è quasi impossibile a meno che non si sia una multinazionale. I costi sono quasi inimmaginabili. Ma il mio progetto non è competere, ma diventare un nuovo punto di riferimento in questa città per l’arte italiana del XX secolo. L’inaugurazione sarà il prossimo 7 Ottobre con un solo show di Lucio Fontana, il progetto espositivo annuale si delineerà con due, tre mostre personali di artisti italiani storicizzati, due collettive a tema e due artisti giovani italiani. Paura? Direi che non posso dire di no, ma fa parte di ogni nuova iniziativa».

Tornabuoni Arte, vista dello spazio

Intendete dedicare più spazio agli artisti emergenti in futuro?
«Si ma in modo sempre moderato; siamo soprattutto una galleria che lavora con i grandi maestri storicizzati e per adesso restiamo su questa linea. Non mancheranno comunque nuove proposte, che saranno attentamente selezionate e valutate».
Se sì, su quali nomi punterebbe in questo momento? Quali sono i soggetti più interessanti sulla scena internazionale secondo lei?
«Mi dispiace, ma sul contemporaneo non mi piace la parola puntare anche se so che si usa così. Il contemporaneo a parer mio deve costare poco o relativamente poco ed essere proposto dalle gallerie note per questa ricerca. Io compro ciò che mi piace e che mi emoziona scegliendo talvolta anche dai colleghi che lavorano da anni un certo artista. Abbiamo creduto a Francesca Pasquali, Gioacchino Pontrelli, Serafino Maiorano per il territorio italiano e lavoriamo con Lee Sung Kuen, Pablo Atchugarry e altri per una realtà più internazionale. Interessante per me è sempre ciò che ci piace e ci emoziona».

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