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“Maltrattamento di animali”, “Schiavitù contemporanea”: sono i cartelli di alcuni attivisti che ieri sono arrivati da Gavin Brown nella sua ultima mostra al West Village, prima di andare ad Harlem.
Animalisti, perché? Perché la galleria ospitava una rimessa in scena di un pezzo di storia dell’arte del Novecento: i 12 cavalli vivi di Jannis Kounellis, celebre installazione che venne realizzata per la prima volta a Roma nel 1969, all’Attico di Fabio Sargentini. Legati alla parete, con fieno e acqua a disposizione, in ogni momento i cavalli sono curati da tre stallieri attenti.
Il gruppetto di sparuti manifestanti è stato tranquillamente circoscritto dal gallerista, che ha tentato un dialogo. Secondo gli attivisti Brown non avrebbe dato abbastanza spiegazioni circa le condizioni di mantenimento degli animali, ma anche da Lisa Lange, vicepresidente dell’Associazioni per i diritti degli animali americana PETA, non coinvolta nell’operazione, è arrivata una stoccata per i “difensori” del bene arrivati in galleria: “Se le persone di New York vogliono vedere cavalli costretti alla schiavitù possono andare alla linea trucco di Central Park e scoprirli in piedi sotto tutte le condizioni atmosferiche più estreme e costretti a trascinare carrozze piene di turisti intorno alla città”. Basta come risposta? O facciamo le pulci anche stavolta intorno a un’opera-emblema che, per fugare ogni dubbio, andrebbe solo un po’ approfondita?