13 luglio 2015

Reading Room

 
La fotografia raccontata da chi fotografo non è
di Manuela De Leonardis

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Che la fotografia – la scrittura con la luce – sia l’invenzione più seducente del XIX secolo è una certezza. Aggettivi superlativi come straordinaria, prodigiosa o stupefacente, accompagnano il debutto della sua prima forma: il dagherrotipo. Procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini, il dagherrotipo (copia unica positiva/negativa, non riproducibile, ottenuta da lastra sensibilizzata in argento o rame argentato) fu presentato nel 1839 – come è noto – da Monsieur Daguerre (di professione pittore e decoratore teatrale, già inventore con Bouton del diorama) all’Accademia delle Scienze di Parigi. 
A proposito di dagherrotipi, Guido Gozzano nel poemetto L’amica di nonna Speranza ne parla in questi termini: “I dagherrotipi: figure sognanti in perplessità”.
Ma se Edgar Allan Poe, ad un anno di distanza dalla sua ufficializzazione, definisce la fotografia “il più importante trionfo della scienza moderna”, c’è anche chi si mostra dubbioso, consuetudine assai diffusa – questo vale per qualsiasi settore – quando si intraprendono percorsi ignoti. 
Non è casuale che parlando, per l’appunto, di fotografia siano stati citati già due letterati (Gozzano e Allan Poe), infatti la cultura letteraria non solo non rimase indifferente al linguaggio fotografico, ma stabilì con essa un rapporto privilegiato, come vediamo in Flaubert, Ruskin, Balzac, Hawthorne, Conway, Dumas, Baudelaire
«Favorevoli o contrari – scrive Walter Guadagnini nella prefazione di Racconti dalla camera oscura – questi personaggi affrontano la fotografia da un punto di vista teorico, tentando di comprendere e definirne la natura e al tempo stesso evidenziando il ruolo che essa potrebbe o dovrebbe occupare all’interno del mondo delle scienze e delle arti, della società in senso lato».
Vecchio apparecchio fotografico a Beyoglu, Istanbul, foto di Manuela De Leonardis
Pubblicato nella collana StorieSkira (per la casa editrice Skira, Guadagnini ha curato i quattro volumi de La Fotografia ed è responsabile della sezione fotografia del Giornale dell’Arte), Racconti dalla camera oscura (2015) è un’antologia di dodici brani scritti tra il 1851 e il 1970 da Nathaniel Hawthorne, Dion Boucicault, M.D. Conway, de Maupassant, Thomas Hardy, Twain, Pirandello (autore dei racconti La buon’anima e Una giornata), Proust, Bioy Casares, Cortázar e Calvino
«In questi autori – scrive ancora l’autore – la fotografia ha il ruolo fondamentale di sostituire la persona, di prenderne letteralmente il posto, assume il ruolo della maschera nelle cerimonie sacre».
Le riflessioni ruotano intorno ai punti cardine di istantaneità, reale, documento, memoria attraversando mondi vicini e lontani. È un piacere scoprire – o riscoprire – storie sempre attuali, come il racconto Le bave del diavolo dello scrittore argentino Julio Cortázar – noto agli addetti ai lavori – a cui si ispirò Antonioni (che lo aveva letto nell’estate del ’64 mentre girava il film Deserto rosso) per Blow-Up. Così come L’avventura di un fotografo, scritto da Italo Calvino nel 1970 è citato da Roland Barthes nel saggio-vademecum La camera chiara
«Il mio abuso consiste nell’avervi fotografato senza il vostro permesso», scrive Adolfo Bioy Casares in L’invenzione di Morel (1940). «È chiaro che non si tratta di una fotografia come le altre; è la mia ultima invenzione. Noi viviamo in quella fotografia, sempre. Immaginatevi un palcoscenico nel quale venisse recitata, integralmente, la nostra vita durante quei sette giorni. Noi stiamo recitando. Tutti i nostri atti sono rimasti registrati».
Manuela De Leonardis
Racconti dalla camera oscura a cura di Walter Guadagnini
Editore: Skira, 2015
Pagine: 208, 
Euro: 15,00
ISBN 9788857218557
Foto in alto: Dagherrotipo 1850, foto di Manuela De Leonardis

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