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È partita da pochi giorni la 29esima edizione del Festival di Todi, tornato due anni fa sotto la direzione artistica del suo papà Silvano Spada.
Quest’anno è la Germania il fulcro intorno a cui ruotano molti degli eventi del festival: un omaggio, nel venticinquennale della sua riunificazione, al paese la cui storia e cultura sono da sempre profondamente intrecciate con le nostre, e che spesso negli ultimi tempi ha attirato antipatie da tutti i fronti dello scacchiere europeo, come il più classico dei primi della classe.
In questo contesto si collocano anche i due eventi di contorno dedicati all’arte contemporanea, e visitabili durante i giorni del festival (fino al 30 agosto).
A uno degli artisti tedeschi tra i più seminali del XX secolo, Joseph Beuys, di cui il prossimo gennaio ricorrerà il trentennale della morte, è dedicato lo spazio della Sala del Capitano, allestito a cura di Damiano Kounellis. Sbarcando sul “Pianeta Beuys” – questo il nome della piccola mostra – si possono vedere alcuni monumentali scatti di Claudio Abate, in parte sulla ultima mostra del tedesco a Capodimonte, insieme a frammenti video delle performance più note. Ospite d’onore è però il Vestito terremoto, traccia dell’incontro avvenuto tra Beuys e il gallerista napoletano Lucio Amelio, nell’ambito dell’operazione orchestrata da quest’ultimo, Terrae Motus, in quel fatidico 1980 in cui il terremoto irpino stravolse anche Napoli.
Sabato, questo scenario ha ospitato i critici Bruno Corà e Italo Tomassoni, che hanno condiviso le loro preziose testimonianze: il primo rammentando l’episodio in cui Beuys trasformò la sua tisana curativa in oggetto estetico, il Bruno Corà Tea, per finanziare “Lotta Continua” (erano gli anni Settanta); il secondo rievocando l’improbabile incontro-collisione del 1980 tra il pianeta Beuys e il pianeta Burri nella Rocca Paolina di Perugia, di cui si fece artefice lo stesso Tomassoni (come documentato in uno dei video proiettati), incontro che, usando le stesse parole dell’artista tedesco, partì come un dialogo risolvendosi però come un monologo.
Dialogo e monologo sono di fatto anche le coordinate interpretative del muro-non muro specchiato che taglia idealmente in due la piazza centrale di Todi, Piazza del Popolo, ora lasciandosi attraversare dai visitatori, ora bloccandone il movimento (il riferimento, oltre al muro di Berlino, è ovviamente ai tanti muri che si continuano a erigere nei nostri tempi). Il muro dei muri è stato realizzato da Valentina Palazzari usando forme dal sapore retro-minimalista, forgiate nell’acciaio della natia Terni, e andrà alla ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni, che ha fornito i materiali, una volta terminato il Festival. Nel frattempo chi passa per Todi approfitti delle sue superfici specchianti: vengono dei magnifici selfie. (Mario Finazzi)