27 agosto 2015

Fino al 5.IX.2015 Ryts Monet. Why do I want to go to mars Whitelight Art Gallery, Milano

 

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Quello conosciuto ai più come Spazio San Giorgio, nato nel 2011 a Bologna, sta provando a mettere le proprie radici in un’altra città: Milano. Stiamo parlando della galleria Whitelight Art, di recente apertura, situata vicino a Porta Genova. Inaugura la propria nuovissima stagione con una personale di Ryts Monet: “Why do I want to go to mars”, curata dalla critica e curatrice indipendente Martina Cavallarin; la mostra è stata accompagnata da un DJ set tenuto dallo stesso artista in occasione dell’apertura. Monet è un giovane pugliese, nato a Bari nel 1982, che vive a Venezia e lavora spesso sia in laguna sia a Tokyo. Il progetto Why do I want to go to mars nasce con il montaggio di centinaia di video in bassa risoluzione, scaricati da Ryts dal web, riguardanti persone che spiegano a tutti il proprio interesse nell’accogliere un’iniziativa realmente esistita: andare a colonizzare il pianeta Marte. L’artista fa in modo che queste voci riescano ad avere un fil rouge, risultando così un continuum. Il desiderio di poter evadere – in questo caso si può dire in senso letterario – dal proprio pianeta e di poter dare vita a un vero e proprio nuovo-mondo sembra un’utopia irrealizzabile, eppure questo pensiero intrigante stuzzica l’immaginazione di molti (lo dimostrano i centinaia di video presenti su internet). Una ragazza di un video parla in camera, in inglese, sostenendo che l’impossibile sia possibile! E che se ci abituassimo a pensare in questo modo, potrebbero essere realizzate moltissime cose; un’interessante riflessione sulla variazione dei punti di vista. E sono proprio i punti di vista a essere analizzati dall’artista, basti pensare ai francobolli d’epoca della Guerra Fredda, in particolare quello riguardante la prima foto raffigurante il pianeta Terra visto dalla Luna, affiancato dalla frase tratta dal libro della Genesi, “In the beginning God…. “.
Monet va così alla ricerca del nuovo e dell’inesplorato, di una “nuova origine”. Lo spazio viene inteso come universo, ossia come dimensione spaziale-universale che abbraccia tutto. La tendenza all’unione, come in un puzzle di tanti pezzi, è manifestata in diverse opere, come 30X30X30, un’installazione a parete costituita da cartoline di anni passati, oggi le chiameremmo vintage, raffiguranti degli obelischi, tagliate a metà e riassemblate tra di loro, mostrando così due posti diversi ciascuna; l’obelisco, simbolo del massimo potere sin dall’epoca egizia, rappresenta un raggio di sole pietrificato. La luce è anche il simbolo dell’illuminismo, che basava la propria ideologia sul sapere e sulla sperimentazione. Dopo tutto, sono state proprio le sperimentazioni a far evolvere l’uomo, sino a poter mettere piede sulla Luna (e un giorno, forse, su Marte?). Inoltre la luce è il primo elemento proveniente dallo spazio a raggiungere il pianeta Terra. Il viaggio, l’unione di più elementi e il potere sono tratti comuni della poetica dell’artista, come dimostra l’opera Amaterasu Goddess of Sun + Holy Mary of Civitavecchia, un’installazione inedita costituita da una statua – Holy Mary of Civitavecchia – che è una perfetta copia della famosa statua del miracolo delle lacrime di sangue, spedita da Ryts stesso in una cassa di legno in Giappone nel 2011, facendo ripercorrere in senso contrario il viaggio di Hasekura Tsunenaga, un samurai che nel 1615 partì da Ishinomaki e sbarcò a Civitavecchia; le due città sono così gemellate da 400 anni. 
La statua di Maria è posta ai piedi di una bandiera su cui è stampata la fotografia di una riproduzione della Statua della libertà – situata a Ishinomaki – che è stata sventrata dallo tsunami del 2011. Le due figure, entrambe femminili e candide, sono simbolo del potere religioso e del capitalismo occidentale esportato in terre orientali. Altri due lavori interessanti sul potere sono una carta da parati, che gli era stata chiesta su commissione per ricoprire le pareti di una villa barocca, raffigurante tutte le piante e i fiori presenti su banconote di tutto il mondo, unite in un patchwork e ricoperte da un tema damascato. L’altro lavoro – Explosions – unisce in una sintesi visiva, tramite collage, due forze diverse: la potenza dell’atomica e la massima tensione del corpo umano; infatti, i funghi fumogeni sono coperti dal ritaglio cartaceo di numerosi corpi muscolosi di bodybuilders. Ryts Monet con questa prima personale a Milano, lavora in questo modo sulla sintesi e sulla connessione visiva e concettuale in un modo fresco e mai scontato. 
 
Micol Balaban
Dal 6 luglio al 5 settembre 2015
Ryts Monet. Why do I want to go to mars
Whitelight Gallery
Via Ventimiglia 1, Milano

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