02 settembre 2015

Giotto, pittore d’Italia. A Milano si apre la grande mostra, lontana dai miti e vicina alla storia. Con l’allestimento di Mario Bellini

 

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Secondo Dante (Purgatorio, canto XI) Giotto, allievo di Cimabue, superò il maestro con le sue  Madonne più naturalistiche, quasi “terrene” di cui si avverte il peso del corpo dentro uno spazio reale, come se scolpite con il pittura, aprendo la strada a Masaccio e a Piero della  Francesca. 
Da oggi a Palazzo Reale è aperta al pubblico l’irripetibile e sorprendente mostra “Giotto, l’Italia”, con affreschi, pale d’altare e memorabili crocifissi del pittore toscano. 
Giotto (nato tra il 1267 e il 1276, scomparso nel 1337), è il padre della tradizione figurativa italiana, della scoperta del vero, “delle attitudini e degli affetti”, come scrisse il Vasari, suo primo biografo: il primo pittore-imprenditore-viaggiatore, capace di avviare cantieri complessi grazie al suo talento, richiesto a Roma, Padova, Verona, Napoli e Avignone.  
A Milano, Giotto arriva tra il 1335-1336, su invito di Azzone Visconti per affrescare con cicli profani il suo Palazzo, oggi Palazzo Reale, appunto, che sono andati perduti. Qui l’artista “torna” con 14 capolavori, prevalentemente su tavola, ognuno dei quali racconta una fondamentale tappa della carriera del maestro e dell’Italia del Duecento e Trecento. 
La mostra chiuderà il semestre Expo 2015, promossa dal Ministero dei Beni delle Attività  Culturali e Del Turismo e dal Comune di Milano-Cultura, con il patrocinio della Regione Lombardia, ed è prodotta e organizzata da  Palazzo Reale e dalla casa editrice Electa, che ha stampato un eccellente catalogo. Il progetto scientifico è di Pietro Petraroia e Serena Romano, curatori della mostra, avvalorata  da un comitato scientifico composto da Antonio Paolucci e altri nomi prestigiosi. 
In scena si va dal frammento della Maestà della Vergine da Borgo San Lorenzo e la Madonna da San Giorgio alla Costa, che documentano l’esordio del giovane Giotto, attivo tra Firenze ad Assisi, fino all’atteso Polittico Stefaneschi, prima d’oggi mai uscito dai Musei Vaticani, eseguito a Roma per San Pietro in Vaticano, quando il pittore era all’apice della sua carriera, fino alla novità eccezionale esposta in questa mostra milanese del frammento affrescato con due teste di apostoli o santi, una tre quarti e l’altra frontale, mai esposto prima in nessuna altra occasione (anche questo eseguito per il cardinale Jacopo Stefaneschi per la basilica di San Pietro in Vaticano). Insieme alle altre opere, provenienti dagli Uffizi, la Pinacoteca di Bologna e il Museo dell’opera di Santa Croce, la protagonista è l’evoluzione della pittura italiana. Cercate la Cuspide con Dio Padre e angeli, conservato nel museo di San Diego in California, parte del polittico Baroncelli, (nella foto sopra): il perché lo capirete vedendo. 
L’architetto Mario Bellini, autore  dell’allestimento della mostra, attraverso ferro nero, penombra , giocando con  luci diffuse ha creato una emozionante macchina scenica  con una sequenza di “altari profani”, rigorosi, austeri, metafisici, posati sui  pavimenti anch’essi lastricati con lo stesso ferro, che sembrano galleggiare come “zattere” nelle stanze di Palazzo Reale. Per scoprire Giotto fuori dal mito dei cieli blu e sfondi oro, dentro la storia e l’identità dei luoghi d’Italia. (fino al  10 gennaio 2016) (Jacqueline Ceresoli)   

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