14 settembre 2015

Benvenuto LAC!

 
Dopo anni di lavoro Lugano ha il suo polo per l'arte. Che inizia dividendosi tra storia e contemporaneo. Un progetto globale che guarda anche all'Italia

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Il LAC (Lugano Arte e Cultura), apre i suoi spazi. Ed è proprio dal concetto di “spazio” e ambiente nell’arte che si può iniziare a descrivere, meglio di qualunque altra presentazione, la nuova vita di questo edificio imponente all’esterno ma dalle sale “leggere”, progettato dall’architetto Ivano Gianola.
Un museo che in realtà è l’unione di altre istituzioni: il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, che insieme al Museo Cantonale d’Arte e Museo d’Arte di Lugano, saranno all’interno del LAC, mentre resta separata Palazzo Reali, storica sede del Cantonale.
Tutto prende il nome di MASILugano, e come ha ricordato il direttore Marco Franciolli, «l’insieme è nato dalla volontà di dare una realtà più solida a quello che si è seminato negli ultimi 25 anni, tra i diversi musei, che hanno sempre avuto finora identità separate». A cominciare ad esempio dalla struttura degli edifici storici del Cantonale e del Museo della Svizzera italiana che, dati i loro spazi ridotti, spesso hanno comportato limitazioni nei progetti e nell’esposizione delle collezioni. Lugano, insomma, non aveva un luogo decisivo per le arti, che fosse in qualche modo non solo in dialogo, ma competitivo con il restante panorama culturale svizzero e con la vicina Milano.
Lac Lugano, vista della mostra Orizzonte Nord Sud, foto Mauro Mariani

Eppure la Svizzera è anche uno strategico punto di passaggio. Ci sono voluti però dieci anni per completare l’opera, con una spesa che si è aggirata intorno ai 250 milioni di franchi, ma che oggi sembra aver messo tutti d’accordo sulla necessità di avere questa punta di diamante in città. «Il LAC è una realtà che potrà portare valore aggiunto al nostro territorio, consolidare l’identità di Lugano come crocevia culturale. Qui la forza propulsiva del privato è preziosissima, e con la regia discreta delle istituzioni permette di creare una rete virtuosa che sostiene e rafforza la crescita», sono state le parole del sindaco della città, Marco Borradori. 
Ma ora entriamo al museo, iniziando dal finale, ovvero da quella grande mezza parete frastagliata da tagli, su un fondo metallico di rame, riflettente ma caldo: è Lucio Fontana, un Concetto Spaziale del 1962 (New York 10), composto da tre elementi, che vi accoglie al primo piano, a fare da contraltare alla figura umana di Alberto Giacometti, in una delle sale più belle della mostra inaugurale “Orizzonte Nord Sud”, curata da Franciolli e Guido Comis.
Alberto Giacometti, Homme qui marche II, 1960

Ed è proprio la possibilità di guardare la pittura nella sua terza dimensione che porta alla dimostrazione di un’altra vita della scultura, imprendibile, quella di Giacometti appunto, con l’Homme qui Marche del 1960 che si staglia nel definitivo sfondamento prospettico: il paesaggio. 
I dialoghi, infatti, non sono solo in mostra, ma anche con la città, la sua collocazione geografica, nel rimando continuo di un’identità situata proprio al confine di due punti di vista: il nord, appunto, e il sud. Ecco, anche qui, quello che dicono le autorità cittadine: il LAC mira a diventare un nuovo polo di cultura sulla direttrice Milano-Zurigo.  
Un incrocio possibile anche per rimarcare l’identità dell’ultimo avamposto tricolore al di fuori del nostro Stato, in una Svizzera che – in base ai propri Cantoni – tende a promuovere di più l’arte di Francia o Germania. E allora ben venga questo LAC che è in qualche modo – e ci si permetta quest’affermazione – l’ultimo museo d’Italia. 
dentro l'installazione di Anthony McCall, Solid Light, foto Mauro Mariani

Ma addentriamoci un po’ nelle sale, scoprendo una mostra che non affatica l’occhio e i percorsi, che tiene conto delle distanze, calibrata e pulita per far godere al massimo di autentici capolavori, da Casorati a Balla, da Segantini a Medardo Rosso. Certo i protagonisti “dell’arte europea ai due versanti delle Alpi” non sono esattamente i più contemporanei si possano trovare (l’arco di tempo che copre la mostra va infatti dal 1840 al 1960), ma è il punto di partenza per il LAC di mostrarsi alla città, di uscire allo scoperto con la sua collezione e, dunque, di nascere. 
A principiare, anche in mostra, sono Caspar Wolf e Giovanni Battista Piranesi: due specchi di un’area: l’Italia, e la fascinazione delle rovine che incontrano la natura; la Svizzera, con i suoi monti e un intervento dell’uomo che ancora è sottile, supportato anche dalla presenza di tre preziosi dipinti “ticinesi” di William Turner, unico pittore “straniero” legato a questa mostra.
E visto che, come abbiamo ricordato all’inizio, la luce e l’ambiente sono indicazioni fondamentali per leggere il nuovo museo di Lugano (nonostante, talvolta, l’illuminotecnica delle opere non sia eccellente), merita uno sguardo attento anche la piccola parete dedicata al confronto tra Giorgio Morandi e Albert Anker: Ottocento e Novecento parlano tramite still life, che dal “verismo” mutano quasi in pure forme, così come virano nel ritorno dei Valori plastici le modelle di Felice Casorati, in dialogo con Félix Vallotton: anche in questo caso si sfugge dal puro realismo e, nonostante una generazione di differenza, come scrive Giorgina Bertolino nel grande catalogo (Skira) che accompagna l’esposizione, i due artisti sono “accumunati dalla misura intellettuale, razionale e sorvegliata che distingue la loro pittura – spesso confusa per pura cerebralità”.
Insomma, questo piccolo Whitney, che ricorda il nuovo museo di New York per i pavimenti chiari e le ampie vetrate sul lago, scopre le carte con una complessità non cervellotica, indagando le proprie radici, e non dimenticando che esiste, appunto, anche il contemporaneo. 
Lo si mette in mostra con un vero e proprio “ambiente spaziale” firmato dall’artista inglese Anthony McCall (classe 1946), e la sua mostra “Solid Light Works”. In realtà sia “ambiente spaziale” che “mostra” sono termini inesatti per definire quello che l’artista definisce un progetto di “cinema-scultoreo”. Tramite il buio e la foschia artificiale, il LAC porta in scena quattro installazioni dell’artista che riprendono il concetto minimalista della luce come scrittura-scultura: di grande impatto emotivo, il corpo dello spettatore, come ricorda la curatrice della mostra Bettina Della Casa, viene trasformato “dalla sua abituale identità di passivo fruitore in un’individualità in continuo stato di interscambio”. 
Spazio Meno Uno - Giulio Paolini, Teatro di Mnemosine, particolare d'installazione

Abbiamo terminato? No, perché oltre a quello che è il MASILac, fa parte del circuito del LAC anche un altro splendido spazio, che in occasione della messa in scena di “Orizzonte Nord Sud” ha contribuito con diversi prestiti: è lo Spazio Meno Uno, ovvero la collezione di Giancarlo e Danna Olgiati, che per l’occasione presentano un’installazione inedita di Giulio Paolini.
Si tratta del Teatro di Mnemosine, lavoro concepito dall’artista italiano tra il 1981 e il 1990, per la prima volta qui riunito sotto la sua supervisione, che segue le tracce della sfuggente Dea, appunto. Anche in questo caso, come in tutta la poetica di Paolini, è in gioco un dialogo. Stavolta è con l’artista Jean-Antoine Watteau e il suo Les Charmes de la Vie del 1718 che Paolini scompone in nove parti, tante quante le muse che Mnemosine generò dopo nove notti d’amore con Zeus. La vita però, si sa, a volte prende il sopravvento sull’arte e nonostante gli anni di lavoro per completare questo ciclo siano stati nove, i “pezzi” realizzati furono sei. Oggi, in realtà, questa distinzione non conta poi molto, anche perché la percezione di immergersi come “attori-spettatori” in questa grande quinta (fatta realizzare da Paolini ad un pittore di scena, che ha traslato il dipinto di Watteau sulla misura di un vero fondale da teatro) ha a che fare con la scoperta della pittura, dove tutto l’ambiente diventa palcoscenico dell’arte: «lo stratagemma di far ricopiare e ingigantire i nove particolari del quadro è anche la possibilità di un confronto tra uomo e figura ideale. Tutto sembra galleggiare in uno spazio senza tempo, per una visione teatrale, più che di opere», spiega l’artista.
E i ringraziamenti, non di rito, ma decisivi per questo primo passo del LAC, non solo vanno al main sponsor Credit Suisse, ma anche appunto ai privati, che hanno reso possibile questo rapporto.
Lo dice chiaro e tondo Giancarlo Olgiati: «Con le possibilità e le leggi della Svizzera si possono promuovere, in questo ultimo lembo della penisola, quei grandi artisti – giovani o meno – che in Italia hanno difficoltà, a causa dei problemi che tutti conosciamo in fatto di tutela e sostegno della cultura. Anche per questo abbiamo deciso di sostenere il LAC. Per restituire la cultura, indispensabile, che queste istituzioni trasmettono ai cittadini, in un rapporto che possa contribuire a rendere civile una comunità». Benvenuto, LAC. 

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